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Nebbia, "mala" e grattacieli. La Grande Bellezza di Milano

Un volume fotografico «diretto» da Gianni Biondillo racconta tutto il cinema nella metropoli, da Comerio a Bisio

Nebbia, "mala" e grattacieli. La Grande Bellezza di Milano

In Miracolo a Milano, 1951, l'area della baraccopoli, fra Città Studi e Lambrate, oggi è irriconoscibile. Nel film La notte di Michelangelo Antonioni, 1961, la protagonista attraversa in taxi Sesto San Giovanni, che allora era quasi tutta campagna. In Milano Calibro 9 di Fernando Di Leo, siamo nel '72, il marmo del Duomo è nero a causa dello smog perché le auto bei tempi potevano liberamente girargli intorno e parcheggiare in piazza (Renato Pozzetto, Il ragazzo di campagna, nell'84 ci entra in trattore, altro che Area C). E in Eccezzziunale... veramente dei Vanzina San Siro non ha ancora il terzo anello: è dell'82. E una volta, a Milano, se ci pensi, non si parlava neppure l'italiano. Almeno ai tempi di Totò e Peppino, quando i meridionali arrivavano qui intabarrati come cosacchi e la nebbia c'era ma non si vedeva. «Excuse me... bittescèn, noyo volevàn savuàr l'indiriss... ja?».

Solo per dire come il cinema registra tutti i cambiamenti di Milano, che di volta in volta sullo schermo, nell'ultimo mezzo secolo, è stata la città della guerra (senza che si vedessero mai i bombardamenti), della ricostruzione, del boom economico, poi quella delle fabbriche (soprattutto i capannoni della Lambretta al Rubattino, filmati anche da Pasolini in Teorema), dell'alienazione e della modernità - la sequenza iniziale della Notte di Antonioni che accarezza dal basso in alto il nuovissimo grattacielo Pirelli e poi della borghesia operosa, e la Milano dei commendatori, della moda, delle modelle, sopra le passerelle e sotto il vestito niente, la Milano da bere, delle tangenti, la coscienza sporca e le Mani pulite, quella di Berlusconi e dell'antiberlusconismo. E il palazzo di Giustizia del Caimano non è neanche quello di Milano...

Una città che cambia così tanto e così velocemente molto più di Roma, sempre uguale a se stessa che il cinema fa fatica a starle dietro. Fatevi dire da un regista quanto è difficile girare un film a Milano ambientato negli anni '70 o '80 o anche solo '90...

Milano e il cinema, Milano e i suoi cinema, Milano nel cinema. Sono tutte le cose che prova a raccontare Gianni Biondillo famiglia del Sud, milanese di nascita ma soprattutto di rinascita - in Milano's Movies (About Cities, pagg. 320, euro 49,90): un volume sontuoso, grande formato, fotografie meravigliose e testi ancora di più. Come un regista Biondillo ha diretto il lavoro e ha chiamato a scrivere una troupe di attori, sceneggiatori, architetti, critici e storici del cinema (citiamo fra i tanti interventi quello di Roberto Della Torre sull'officina milanese dell'animazione, Maurizio Porro su Rocco e i suoi fratelli, Vinicio Canton sul poliziottesco e poi di Gianni Canova, Andrea Kerbaker e Luca Doninelli...) e di suo ha firmato l'incipit: una lunga introduzione, non accademica ma precisa, letteraria ma non romanzesca, che è una dichiarazione d'amore nel confronti del «cinema» e di «Milano». Due parole che, insieme, suonano come un ossimoro.

Perché? Perché in Italia, si dice, il cinema si fa a Roma, con i suoi centri di produzione, le scuole di recitazione, le maestranze più brave del mondo, Cinecittà; mentre Milano è la città dell'editoria, dei giornali, semmai della pubblicità e delle tv private... A proposito. Una domanda: perché Milano nei film è così piena di romani? E perché anche a Gratosoglio parlano con l'accento di Spinaceto?

Comunque, Roma non ha mai capito Milano e Milano non mai amato Roma.

A Milano i grattacieli, a Roma le piazze. A Milano si cammina di corsa e si parla veloce, a Roma si cammina piano e si parla strascicato. A Milano gli spazzini volano, a Roma no. A Milano lo snob, a Roma er coatto. A Milano il quartiere Rubattino, a Roma l'astuzia di Rugantino. A Milano il pragmatismo, a Roma il cinismo. Milano pensa a fare i soldi, Roma a goderseli. A Milano si «fa», a Roma si «dice».

A Roma il cinema è la fabbrica dei sogni. A Milano il sogno è avere una fabbrica.

Eppure, da Il carnevale di Milano, film del 1908 di Luca Comerio (che l'anno dopo aprì nel quartiere Turro gli stabilimenti cinematografici fino a quel momento più grandi al mondo) alla commedia La storia del Frank e della Nina (2024) ambientata in una Milano «carezzata dalla nebbia, romantica e complessa», quante Milano da film che ci sono! Miracolo a Milano, Banditi a Milano, Le cinque giornate di Milano, Ultima notte a Milano, Milano miliardaria, Milano nera, Milano odia, Milano trema, Milano violenta, Milano in the Cage, La prima onda: Milano al tempo del Covid-19...

E alla fine a Milano, città che ha avuto nel suo massimo splendore quasi 200 sale cinematografiche, ha fatto da sfondo a altrettanti film, dai classici firmati da De Sica, Risi, Visconti a quelli di genere lo straordinario fenomeno del poliziottesco, l'ultimo prodotto cinematografico esportato dall'Italia - alle commedie degli anni '80 fino alle storie stralunate, milanesissime, di Nichetti, Bisio, Abatantuono, Aldo Giovanni e Giacomo.

Ha ragione Gianni Biondillo. Milano è una città cinematograficamente sottovalutata. Sarà fredda, distante, inospitale, tormentata, angosciante (sempre con quella Stazione Centrale incombente e buia!), anaffettiva (vuoi mettere con la passionale Napoli di Gomorra?), troppo seriosa (come la Torre Galfa, che infatti Tognazzi nella Vita agra vuole tirare giù), tentacolare, dalla topografia onirica (Pierfrancesco Favino nel film L'ultima notte di Amore esce da un locale in via Vittor Pisani e si trova davanti al Museo del Novecento...), piena di industrialotti brianzoli, danée, rapinatori, sciure, terruncelli, Yuppies e pendolari. Ma poi - come dice benissimo Biondillo - c'è anche la Milano surreale, astratta, metafisica (Diabolik in piazza Affari!), dadaista, favolistica, popolare, con una buona «mala», con i Navigli, una delle ville più belle d'Italia - Necchi Campigli di Portaluppi di Io sono l'amore - e i suoi palazzi con le «facciate prosaiche e cortili poetici».

È incredibile.

Ma se ci sedessimo sulla terrazza affacciata sulla Madonnina nel film Lo spietato (che non è il terrazzo di un appartamento ma quello della Banca dell'Agricoltura, in piazza Fontana) possiamo persino illuderci che anche Milano ha la sua Grande Bellezza.

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