Il nostro calcio ostaggio della legione straniera

I fuoriclasse sono altrove e quelli che arrivano vanno via. Ma la classe media soffoca i nostri ragazzi dei vivai

Questa è la vendetta di Luis Silvio. Que­sta Italia sconfitta ha ancora nostalgia di Ma­radona, ma comincia ad aver paura che lo straniero non sia più quello di una vol­ta. Quello che alla fine del vecchio se­colo regalava magia, sogno, e carisma. Qualcosa è cambiato. I fuoriclasse so­no altrove e quelli che arrivano vanno via. Ci sono una manciata di campio­ni, ottimi giocatori, seri professionisti e tanti ragazzi di buona volontà. Qualcuno dice troppi. È lì, nella classe media del campionato, che lo straniero toglie spazio agli italiani. E ancora più giù, nelle panchine sovraffollate, nella classe cadetta dove un tempo cercavano gloria ed esperienza i ragazzi del vivaio. È lì che si teme la sindrome Luis Silvio, la leggendaria ala di quella Pistoiese anni ’80,dove con il numero sei consumava la sua vecchiaia Marcello Lippi, che giocò sei partite e poi fu messo in naftalina. È lo straniero per lo straniero. È la Lazio multinazionale in over quota, dalla rosa elefantiaca, che pesca in Sudamerica in saldo e un tanto al chilo. È chiedersi: dove sono gli italiani? E scoprire che ci sono. Escono dai vivai ma poi si perdono. Non è facile galleggiare in una classe media affollata. È, appunto, quella spina dorsale che si è piegata. È tutto questo il futuro che il tifoso teme. Magari è solo un abbaglio. Il tentativo di cercare una causa, una colpa, un perché. Una cosa è certa: il Sudafrica cambia le carte. Nulla sarà come prima. È crollato tutto, come un corpo senza spina dorsale, con il buio negli occhi e la fantasia ramenga. Lasciare il Sudafrica così, all’ultimo posto, con tre partite malandate, senza gioco, senza vittorie, quasi senza gol, è una ferita profonda. Ma quello che ora, con l’Italia in fallimento,fa più paura è questo orizzonte scuro. Non c’è il giorno dopo. Non si intravede. La caduta di Lippi e dei s u o i uomini ha polverizzato la speranza. Ci sono critiche, atti di accusa, mea culpa, lacrime e scommesse sbagliate. E questo ci sta. Quella che manca è la fiducia nel futuro. La leggi nelle parole di Cannavaro, nel suo segnale d’allarme: «Dobbiamo voltare pagina tutti, se restiamo a questo punto ci mettiamo altri 26 anni a vincere un mondiale». La sfida di Prandelli sarà ricostruire sulle macerie. Qualcuno, si comincia a dire, dovrà pagare. Non Lippi, che già era pensionato. Non i giocatori, che hanno già pianto. Abete? Forse. Ma è tutto il calcio italiano che deve ripensarsi. È tempo di andare a caccia di errori. È davvero tutta colpa degli stranieri? No, naturalmente no. Questo è solo un sentimento. È la paura della mediocrità. L’Italia di Lippi è mediocre. L’Italia straniera non ci regala più pezzi di magia. Di tutti questi stranieri pochi hanno il dono.Non c’è più Kakà.Non passa più da noi l’aristocrazia del calcio.Non c’è Van Basten e Platini. Non c’è Zico che giocava nell’Udinese. Non c’è Falcao e neppure Lothar il tedesco. Quelli che fanno sognare sono altrove. La pulce è in Spagna. Il secondo Ronaldo pure. L’Inter vince. Ma è sola e parla male l’italiano. Le parole di Calderoli non sono solo uno sfogo leghista. Questa storia dei troppi stranieri è la stessa che si ripetono molti italiani sia sugli autobus sia dal barbiere o davanti all’edicola.È viscerale e Calderoli l’ha intercettata. È il confronto con l’Internazionale di Mou che spacca tutto. La coppa dei campioni alzata dopo quasi mezzo secolo dai nerazzurri e la disfatta senza onore da campioni del mondo in carica. L’altare e la polvere. Solo che l’altare è una legione straniera, la polvere è tutta della nostra truppa. Lì c’è un olandese che corre, media, filtra, spinge e illumina l’ultimo passaggio. Qui c’è la palla che cammina piano in orizzontale, con geometrie banali, con gli spazi tutti chiusi e i corridoi invisibili. Lì c’è una riserva della nazionale argentina che tocca i palloni e li fa diventare oro. Qui c’è Iaquinta che fatica a vuoto. È questa frattura tra il neroazzurro e l’azzurro tenebra che rode dentro. È la metà di Milano che non assomiglia al resto d’Italia,tanto che l’unico neroazzurro dal passaporto azzurro Lippi lo ha lasciato a casa.

Troppo matto. Troppo individualista. Troppo bresciano. Dicono che l’Italia ripartirà da lui. Da Mario Balotelli. E sarà diversa.Forse è lì che s’incontrano le due Italie. Nello sguardo sfrontato dell’italiano che viene da lontano.

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