Le nuove inquietudini di Pessoa

Il suo primo eteronimo era Chevalier de Pas. Il piccolo Pessoa, a sei anni lo usava per firmare lettere a se stesso. Primo passo di un lungo percorso scandito da rispecchiamenti, (auto)trappole narrative, confessioni rilasciate sotto false generalità. Dal 1892, cioè dalla comparsa di Chevalier de Pas, fino al giorno della morte del poeta, il 30 novembre 1935, questi rimase fedele alla propria infedeltà, aggrappato ai rami dell’albero dell’Inconoscenza.
Il mattatore della compagnia teatrale pessoana è Bernardo Soares, protagonista del Libro dell’inquietudine, testo implicito e di fatto inesistente, sbriciolato in centinaia di noterelle, appunti, marginalia, ictus creativi usciti dal famoso baule-cornucopia in cui s’annodano e s’ingarbugliano le catene di molteplici Dna. E poi messi in fila, nel 1982, in un devotissimo rosario da Jacinto do Prado Coelho con la prima edizione del capolavoro a lungo progettato e mai realizzato da Pessoa. Nasceva così il mito dell’opera-progetto, del work in progress che sedusse milioni di lettori in tutto il mondo. In Italia ne furono i curatori testamentari Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre, per Feltrinelli, nell’86.
E ora, a quasi trent’anni dalla benemerita operazione di do Prado Coelho, ecco la terza traduzione italiana (la seconda, del 2006, targata Newton Compton, si deve a Piero Ceccucci e Orietta Abbati). L’ha realizzata per Mondadori Valeria Tocco (pagg. 452, euro 11). La quale scrive nella Prefazione: «Gli editori che si sono confrontati fino a oggi con il Libro hanno scelto due strade distinte per organizzare i vari brani di cui si compone: Jacinto do Prado Coelho e Richard Zenith hanno optato per un montaggio prevalentemente tematico dei frammenti; Teresa Sobral Cunha e Jerónimo Pizarro, al contrario, hanno cercato di ordinare i frammenti dal punto di vista cronologico». Tocco propende per quest’ultimo metodo, presentando nuove acquisizioni e soprattutto dividendo il tutto in due sezioni: dal ’13 al ’20 e dal ’29 al ’35. In sostanza, dividendo l’epoca... a.S. (avanti Soares) da quella d.S. (dopo Soares).
Che cosa ne ricava il lettore? Un ulteriore sdoppiamento di Pessoa. Se gli anni d.S. li conosciamo già bene, se la vita ipotetica dell’«aiuto contabile nella città di Lisbona» è ormai entrata nella Hall of Fame della letteratura, con l’ufficio-bozzolo della Baixa, il negozio del parrucchiere come porta aperta sulla dimensione dei sogni non sognati, gli incontri occasionali che tessono una fragile ragnatela biografica, al contrario la gestazione che impegna l’autore dai 25 ai 32 anni è una rivelazione.

Vi troviamo un Pessoa più visionario, che dipinge abbozzi di tableau vivant d’un nitore alla Waterhouse o alla Alma-Tadema; metafisico, con l’esperienza heideggeriana dell’«esser gettato» nel mondo; incline al masochismo psichico; radicalmente a-sociale e insieme salottiero come un Arbasino che parla alle «malmaritate»; a un passo dal confessare la propria omosessualità. E, come chi lo legge nell’atto di leggerlo, già postumo prima di rinascere come Bernardo Soares.

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