Così all'università di Palermo si truccavano gli esami

Pubblicate le motivazioni della sentenza dello scorso giugno che ha condannato 13 persone per aver truccato decine di esami

Così all'università di Palermo si truccavano gli esami

Non erano casi isolati. Ma c'era un sistema, ben collaudato, all'università di Palermo, che permetteva il superamento di esami complessi, come diritto privato ed economia politica. Questo è quanto emerge dalle motivazioni della sentenza che il 13 giugno scorso vide 13 imputati (su 15) condannati a pene comprese tra un anno e sei mesi e otto anni. "Lo spaccato di un vero e proprio fenomeno macroscopico, non una semplice sequela di casi", scrivono i giudici del tribunale nelle motivazioni depositate in questi giorni.

Le false attestazioni furono seriali e vennero compiute attraverso accessi abusivi al sistema informatico centralizzato. Gli impiegati, alcuni corrotti - scrive la terza sezione - agivano con "spregiudicatezza, senso di impunità e assoluta mancanza di rispetto della funzione". Rosalba Volpicelli, una delle addette alla segreteria della facoltà di economia e commercio, ha avuto la pena più alta, 8 anni: il tribunale parla di una sua "pericolosità sociale". La donna, afferma il collegio, "operava in un contesto corrotto, ma questo non può costituire una giustificazione".

La motivazione, lunga 118 pagine, racconta il sistema di corruzione che si era sviluppato all'interno dell'ateneo palermitano. Il sistema aveva portato alla "ingiusta agevolazione degli studenti più disonesti, a discapito di quelli più onesti, falsando le regole dell'avanzamento nella carriera universitaria per merito e frustrando il diritto di questi ultimi al corretto riconoscimento del loro valore e impegno". L'inchiesta, condotta dalla squadra mobile di Palermo, fu avviata dopo una denuncia fatta dalla stessa Volpicelli, minacciata da uno studente che si era visto annullare esami. Lo stesso ateneo del capoluogo siciliano aveva avviato un'indagine interna (poi conclusa con licenziamenti e annullamenti di singoli esami e anche lauree) e aveva fatto pulizia al proprio interno. Tra gli studenti originariamente finiti sotto inchiesta c'era stato anche Alessandro Alfano, fratello dell'allora (i fatti risalgono al 2012) ministro Angelino Alfano. La sua posizione rientrò fra una trentina di casi archiviati su richiesta della stessa Procura, per mancanza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio.

In totale sono stati oltre 40 anni gli anni di carcere affibbiati a 13 imputati tra impiegati dell’università e studenti nel processo che ha fatto luce sul giro di compravendita di esami tra il 2008 e il 2010. Gli imputati erano accusati a vario titolo di falso ideologico, truffa informatica e abuso d’ufficio. Come detto, la condanna più pesante l’ha avuta Rosalba Volpicelli, impiegata dell’ateneo. Per la donna è arrivata una condanna a 8 anni, mentre l’accusa ne aveva chiesti 6. Il collega Ignazio Giulietto è stato condannato a due anni e mezzo. Pene pesanti anche per Walter Graziani e Alexandra Ntonopolou che hanno avuto 5 anni ciascuno; Andrea Tomasello, 3 anni e 8 mesi; Giuseppe Gennuso e Nunzio Fiorello, 3 anni a testa; Giuseppe Ciciliato, Paolo Coviello, Carlo Gaglio, Caterina Guddo e Francesca Pizzo, 2 anni ciascuno; Giuseppe Capodici 1 anno e sei mesi.

Gli investigatori si sono concentrati su alcuni esami sostenuti nelle facoltà di economia, ingegneria e architettura. Nel corso dell'indagine alcuni ragazzi hanno ammeso di aver pagato pur di ritrovarsi nel libretto, grazie a una truffa informatica, esami mai sostenuti.

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