Ho sempre coltivato una particolarissima predilezione per i due artisti che firmarono il primo manifesto dei pittori futuristi del 1910, a fianco di Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo, per poi scomparire o ritirarsi, ed essere sostituiti da Gino Severini e Giacomo Balla.
Si tratta di due spiriti particolarmente originali e creativi: Aroldo Bonzagni e Romolo Romani. Nella parabola del primo si intende lo spirito autonomo che lo rendeva estraneo alla sperimentazione futurista: c'era in Bonzagni un'ansia di critica sociale e di spirito umanitario che non si potevano risolvere in risposte formali, in una fuga dalla realtà nella quale non si rispecchiava l'urgente esperienza futurista, soprattutto quella radicale di Giacomo Balla. Appare più sorprendente e meno motivata la defezione di Romani, soprattutto perché, legittimamente, Filippo Tommaso Marinetti aveva riconosciuto che Romani entrava «nel movimento nostro portandovi l'acceso spirito novatore, e che le gigantesche anatomie liriche e i suoi ossessionanti paesaggi d'incubo rivelarono un autentico futurista».
In verità, come aveva osservato il pittore Grubicy, in Romolo Romani (Milano, 29 maggio 1884 - Brescia, 10 agosto 1916) c'era un'ansia spiritualistica paragonabile soltanto a quella di un artista eccentrico come Adolfo Wildt, la cui perfezione formale nascondeva una visione esoterica di ascendenza simbolista. Fra Grubicy e Romani vi fu una comunione di intenti, tanto che nel 1920 Grubicy ricorderà l'amico scomparso qualche anno prima (1916) con profonda convinzione: «Questo pazzo Lucifero ventiduenne nell'orgiastica incoscienza del Genio, che non misura ostacoli, ha avuto l'ardimento di impostare in volume quasi triplo del vero!!! la testa che ha disegnato con me quando vagolavo nell'insonnia quasi completa della nevrastenia abbattutasi su di me pel troppo intenso lavoro. Non un tratto, non un solo segno di quella grande pagina di carta è tracciato a freddo. Tutti quei guizzi di grigio amianto, come liquidi fluenti scorrono, si urtano, si intrecciano, si inseguono incessantemente senza arresto, senza posa. Vivono e vivendo creano la vita». Un analogo arrovellarsi della forma troviamo nel ritratto dello stesso Grubicy di Wildt. E nessun dubbio anche che la costruzione estetica di Romolo Romani abbia aperto la strada agli Stati d'animo serie prima. Gli addii di Umberto Boccioni. Si tratta di un movimento più interiore che esteriore, di un dinamismo psicologico introspettivo e visionario, che si esprime in forme piuttosto astratte che futuriste. Riflessivo e mistico, Romolo Romani si può apparentare piuttosto, in una declinazione monocorde, ad artisti come Paul Klee e Mikalojus Konstantinas Ciurlionis. La parabola di quest'ultimo è cronologicamente parallela a quella di Romolo Romani, interrompendosi precocemente nel 1911.
I disegni a matita del giovane Romani, che raffigurano il diffondersi delle onde acustiche e delle scie d'acqua, si pongono al di là del sensibile e riecheggiano movimenti e suoni interiori, arrivando a esplorare una realtà altra e introspettiva. Hanno, rispetto alle invenzioni dei futuristi, una verità e una necessità spirituale che si esprimono in forme nuove attraverso una ricerca profonda che non ha niente di professionale. Ogni disegno è una ossessione o la trascrizione di una visione.
Per questo Romani si ritirò. Ai futuristi interessava il mondo, e Depero lo ha dimostrato. A Romani importava seguire la propria anima, trascriverne i palpiti, registrare apparizioni in segni necessari perché ne potessimo conservare memoria. Altra dimensione. Il dubbio, il lamento, il silenzio, l'urlo, la libidine, la paura, la rivolta, sono stati d'animo e titoli di suoi disegni, senza soluzione di continuità. Poi ci sono le persone, i caratteri, la vita esteriore, le tracce delle vite degli altri: il ricco, la prostituta, lo scettico, l'allucinato, il povero, lo scimmione, il credenzone.
Romani non descrive, coglie essenze; e non gli interessa il mondo, ma la propria interiorità.
Per questo si nasconde, si rifugia in se stesso. I futuristi fanno troppo rumore, e lui fugge dove nessuno può vederlo.Da quegli abissi ci porta i bagliori della sua anima. Fino a quando anch'essa se ne è andata, ma è rimasta nei suoi disegni.
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