Pasternak, il poeta è rapace e fuggiasco

La raccolta uscì nel 1914 ma il giovane scrittore aveva le idee già molto chiare

Pasternak, il poeta è rapace e fuggiasco

Le autobiografie di Boris Pasternak tra le più belle mai scritte, per altezza di stile e postura poetica si sviluppano, in sostanza, intorno a due poeti-totem: Rainer Maria Rilke e Vladimir Majakovskij. Il salvacondotto, dedicato «alla memoria di Rilke», comincia alla stazione di Kursk, siamo nel 1900, Rilke è l'uomo senza nome «avvolto in una nera mantellina tirolese»; al suo fianco, «una donna alta sua madre probabilmente, o una sorella maggiore»: è la tanto amata, Lou Salomé. Intorno, «balenano le betulle». Pasternak, all'epoca, aveva dieci anni; nella sua prima raccolta di poesie, Il gemello sulle nuvole, pubblicata nel 1914 (ora tradotta integralmente, per la prima volta in Italia, da Paola Ferretti per Passigli, pagg. 134, euro 18,50), si rievoca la Stazione, «cassaforte ignifuga/ dei miei congedi, dei miei incontri/ fedele, navigata narratrice,/ affranto boccaporto del confine». Chi ama la stazione, si dirà, ama una vita da fuggiasco. Nella poesia più bella della raccolta più bella di Pasternak, Mia sorella la vita, si dice che «l'orario dei treni» è «più grandioso della Sacra Scrittura», che il cuore «sparge nella steppa gli sportelli dei vagoni».

Rilke morirà nel 1926, negli ultimi giorni di dicembre, per una leucemia inasprita, racconta la leggenda, dalla ferita inferta al poeta da una rosa. Aveva fatto in tempo a riconoscere il genio di Pasternak. Il salvacondotto, però, si chiude sul suicidio di Majakovskij, accaduto nell'aprile del 1930. «Solo a lui la novità del tempo scorreva climaticamente nel sangue», scrive di lui il poeta. Anche Uomini e posizioni, l'autobiografia della vecchiaia dal linguaggio fermo e aurorale termina con la morte di Majakovskij. Anzi, con la sua «seconda morte». «Cominciarono a imporre Majakovskij con la forza», scrive Pasternak. In questo, ravvisava il grottesco: il poeta rivoluzionario della Rivoluzione, il poeta-colosso, temuto perfino da Lenin, usato come uno slogan, a mo' di paladino delle sovietiche sorti. Con Majakovskij, ricorda Pasternak, «ci davamo del lei». L'ultima frase ha la violenza di un evangelio: «Una vita senza segreto e senza riserbo, una vita tra gli specchi luccicanti di una vetrina di esposizione è per me inconcepibile».

In ogni caso: è peculiare che per raccontare la propria vita Pasternak racconti il rapporto con due maestri, due amici. C'è una maestria nell'umiltà, nella riconoscenza, che rende titanici i poeti.

Nel 1913, si diceva, nell'alcova della casa editrice Lirika, a Mosca, Pasternak nasce alla poesia. L'anno prima, a Marburgo, aveva frequentato i corsi del pensatore neokantiano Hermann Cohen; dal viaggio a Venezia, compiuto in estate, ricavò una poesia di singolare splendore, che celebrava «l'arcano del vivere senza radici». Molti anni dopo, un erede di Pasternak, Iosif Brodskij, dirà di Venezia parole altrettanto definitive. In Uomini e posizioni il poeta spiega in questo modo i toni della sua lirica: «La città sull'acqua stava di fronte a me, e i cerchi e gli otto dei suoi riflessi galleggiavano e si moltiplicavano, gonfiandosi come un biscotto nel tè Non chiedevo nulla a me, ai lettori, alla teoria dell'arte. Avevo solo bisogno che una poesia contenesse la città di Venezia».

Quanto al titolo del libro, Il gemello sulle nuvole, si sono sprecate le interpretazioni. Secondo alcuni, è un omaggio a Fëdor Tjutev, il grande poeta russo amato da Pasternak, che nel 1852 aveva scritto una poesia intitolata I gemelli; secondo Paola Ferretti «L'immagine del titolo da un lato rimanda alla costellazione zodiacale dei Gemelli, vista come capace di generare paradigmi di binarietà e rispecchiamento, dall'altro addita un elemento meteorologico, fatto questo che si rivelerà cruciale nella poetica della maturità». Pasternak, come sempre, dissemina inganni: «Il libro s'intitolava in modo stupidamente pretenzioso Il gemello sulle nuvole, a imitazione delle astruserie cosmologiche che distinguevano i titoli dei libri dei simbolisti». In realtà, la nube è il simbolo della poetica di Pasternak, di cui egli è il gemello terrestre. Il poeta può assumere, come le nuvole, ogni possibile forma, è calca e cane, nembo e drago; il poeta ha l'ardimento dell'«acquazzone di luce», come scriveva Marina Cvetaeva, salvo poi svanire, d'improvviso, lasciando di sé il sentore di un'occasione perduta, una bianca scia numinosa.

Quarant'anni dopo la pubblicazione del primo libro, nel 1953, Pasternak completa la traduzione del Faust di Goethe e termina la prima stesura del Dottor ivago. Tutto, nel frattempo, intorno a lui, è sorto e crollato, caduto e rinato. Molti amici sono scomparsi, mutilati i molti amori. Si può dire che la storia artistica di Pasternak si sviluppi attorno a due morti: quello di Lev Tolstoj, amico intimo del padre, di cui ricorda la fuga, nel 1910, il feretro. La sua «originalità senza pari, da rasentare il paradosso» sarà un monito perpetuo per Pasternak. Proprio verso Tolstoj, a Jasnaja Poljana, nel 1900, in treno, si stava dirigendo Rilke, «un grande lirico allora appena noto e oggi riconosciuto in tutto il mondo». L'altro estremo è la morte di Stalin, nel marzo del 1953, che coincide con la liberazione di Ol'ga Ivinskaja, amata amante di Pasternak, arrestata quattro anni prima con l'accusa di spionaggio. La morte di Tolstoj coincide con «i primi tentativi poetici» di Pasternak, «che occulta accuratamente agli amici» (Evgenij Pasternak); la morte di Stalin avrebbe dovuto spalancare nuovi spazi di libertà anzi: «di integrità e purezza» per Pasternak. Non sarà così.

Il gemellosulle nuvole, «opera prima che sbalordisce» (Ferretti), sgargiante per genuinità d'ingegno, piacque a Pasternak, che nel 1928 riprese alcuni testi in Tempo d'inizio, riveduti e corretti (proposti in appendice al libro). La sua poetica ruotava attorno a queste parole cardinali: «freschezza e naturalezza, casualità e felicità». Non si creda, però, a qualcosa di innocuo.

Una delle poesie più belle del ciclo descrive il cuore «come un falco che dal cielo fiuti il sangue/ e ti precipitava in mano».

Il cuore del poeta è sempre in picchiata. Scrivere versi, d'altronde, vuol dire attingere all'arte della falconeria.

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