Lo scorso 16 luglio la principessa Mahra ha chiesto il divorzio dal marito via Instagram, utilizzando la formula giuridica del ripudio riservata agli uomini. Un gesto clamoroso che ha riacceso i riflettori sull’opulenta corte di Dubai, in particolare sull’emiro Mohammed bin Rashid al-Maktum e sui misteri della sua vita. L’uomo, che è vicepresidente e primo ministro dell’emirato, si presenta come un paladino dell’emancipazione femminile, un modernizzatore con la passione per la poesia (è un esperto di Nabati, il genere poetico tradizionale beduino ed è egli stesso un poeta). Le vicende controverse di cui è stato protagonista, però, racconterebbero un’altra storia, quella di un sovrano assoluto, una sorta di “padre padrone” e marito possessivo che non esiterebbe a punire duramente chiunque non rispetti la sua volontà.
La richiesta d’aiuto della principessa Latifa
Mohammed bin Rashid al-Maktum è l’uomo che ha dato un volto nuovo all’Emirato di Dubai, rendendolo il luogo sfarzoso e scintillante che è oggi. Tra le sue iniziative di successo possiamo ricordare la costruzione del Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo (828 metri), inaugurato nel gennaio 2010 e del Burj al-Arab, uno degli hotel più lussuosi al mondo, ultimato nel 1999. Impossibile, poi, dimenticare l’immagine dello sceicco accanto alla regina Elisabetta nel box reale durante le gare di Ascot. Negli anni Mohammed al-Maktum avrebbe fatto di tutto per mostrarsi come un politico illuminato e al passo con i tempi.
Per alcuni, però, si sarebbe trattato solo di parole vuote. Una strategia di facciata per rafforzare la reputazione dell’emirato e dello stesso primo ministro. Prova ne sarebbe la ribellione di quattro principesse della famiglia reale di Dubai: Latifa, Shamsa, Haya e Bouchra. Le prime due sono figlie di Mohammed al-Maktum, la terza è la sua ex moglie e la quarta era la consorte di suo fratello. Tutte e quattro sarebbero state vittime di persecuzioni e atti intimidatori da parte dell’emiro.
In particolare è agghiacciante la vicenda che coinvolge Latifa e Shamsa, portata alla luce da inchieste condotte dal Guardian, dalla Bbc e dal New Yorker. Nel febbraio 2018 la principessa Latifa bint Mohammed al Maktum girò un video in cui raccontava la sua vita da prigioniera a Palazzo e lo consegnò agli attivisti di “Detained in Dubai”. Nel filmato, che doveva essere una sorta di assicurazione “per ogni evenienza”, come ha sottolineato la Bbc, la principessa raccontava anche il suo piano di fuga, che avrebbe messo in atto di lì a poco.
Aiutata da una sua amica finlandese e istruttrice di capoeira, Tiina Jauhiainen, conosciuta nel 2010 e dall’uomo d’affari francese Hervé Jaubert (che era già fuggito da Dubai anni prima, dopo essere stato condannato in contumacia per appropriazione indebita), Latifa aveva in mente di recarsi in un centro commerciale con Tiina, in modo da non destare sospetti, nascondersi nel vano pneumatici di un Suv guidato dall’amica, arrivare al confine con l’Oman e, infine, imbarcarsi sullo yacht di Hervé.
La principessa avrebbe pensato di raggiungere l’India e da lì di dirigersi verso l’Europa con il proposito di richiedere asilo politico. Il suo desiderio di libertà, però, si sarebbe infranto il 4 marzo 2018, dopo otto giorni di viaggio. Intercettata dalle forze speciali indiane Latifa sarebbe stata riconsegnata alle autorità dell’emirato, ovvero a suo padre. Prima di tornare a Palazzo, però, sarebbe stata rinchiusa ad al-Awir, una prigione nel deserto, per “scontare”, diciamo così, la disobbedienza nei confronti dell’emiro.
L’11 marzo 2018 il gruppo “Detained in Dubai” pubblicò il video che Latifa aveva girato con la speranza che la sua testimonianza divenisse di dominio pubblico e persuadesse l’Occidente a schierarsi dalla sua parte. Le sue parole mettono i brividi: “Se state guardando questo video non è una buona cosa. O sono morta o sono in una situazione molto, molto, molto brutta”.
Il tentativo di fuga del 2018 non era nemmeno il primo: la principessa avrebbe provato a scappare già nel giugno 2002, ha ricordato la Bbc, quando aveva solo 16 anni. Stando al suo racconto avrebbe preso un taxi fino alla frontiera e poi avrebbe comprato la bicicletta di un ciclista, arrivando fino al confine con l’Oman. Anche in quell’occasione Latifa sarebbe stata intercettata dalle autorità emiratine e condotta in un luogo sconosciuto nel deserto, dove sarebbe stata rinchiusa e torturata. Sembra, infatti, che per cinque ore consecutive gli uomini del padre l’abbiano percossa sulle piante dei piedi con un bastone di legno, fino a impedirle di camminare e l’avrebbero costretta a rimanere al buio.
Dopo 13 mesi di prigionia la principessa sarebbe tornata a casa. La violenza, però, non avrebbe piegato il suo spirito. Così Mohammed bin Rashid avrebbe deciso di tenerla prigioniera in casa per altri due anni e controllarne la volontà attraverso la somministrazione di tranquillanti.
La storia di Shamsa
Latifa non sarebbe stata la prima principessa a tentare di sottrarsi all’autorità paterna, come ha riportato il Guardian. Nel luglio del 2000 sua sorella maggiore Shamsa, all’epoca diciannovenne, avrebbe approfittato di un momento di distrazione delle guardie per scappare da una delle residenze di famiglia nei pressi di Cheltenham e raggiungere Londra, dove avrebbe contattato l’avvocato Paul Simon. Anche quel tentativo di fuga sarebbe finito male: la principessa sarebbe stata ricondotta a Dubai e sembra che da allora nessuno l’abbia più vista. Paul Simon sarebbe riuscito a parlare con lei sei mesi dopo il suo rientro in patria. Shamsa gli avrebbe rivelato di essere prigioniera a Palazzo.
Latifa, invece, avrebbe incontrato la sorella solo una volta, negli anni successivi, notandone l’espressione intorpidita dagli antidepressivi che sarebbe stata costretta a prendere. “[Sembrava] uno zombie”, disse, citata da Business Insider. Poi sarebbe stato interrotto ogni contatto. Un silenzio che dura ancora oggi e ha fatto dubitare più di una volta dell’incolumità della principessa Shamsa, anche perché stando alle indiscrezioni avrebbe tentato il suicidio tre volte. Neppure la sorella Latifa conoscerebbe la sua sorte e a nulla sarebbero valse le continue domande rivolte alla sua famiglia. Nel filmato del 2018 la principessa chiese aiuto all’Occidente per far luce su questo inquietante mistero. Ogni tentativo d’indagine, però, sarebbe naufragato, schiacciato sotto il peso del potere di Mohammed al-Maktum.
Dov’è finita Bouchra?
L’emiro di Dubai, ha riportato il New Yorker, sarebbe implicato anche in un’altra triste storia riguardante una delle donne della sua famiglia, Bouchra bint Mohammed al-Maktum. Nel 2000 quest’ultima, moglie del fratello maggiore di Mohammed bin Rashid al-Maktum, cioè Maktum bin Rashid al-Maktum, avrebbe deciso di andare a vivere a Londra con i figli e rendersi economicamente indipendente intraprendendo la carriera di pittrice.
Stesso copione delle altre volte: Bouchra sarebbe stata bloccata dalle guardie reali di Dubai e costretta a salire su un aereo che l’avrebbe riportata in patria. Le baby sitter dei suoi bambini avrebbero denunciato il rapimento, ma anche allora tutto sarebbe stato messo a tacere. Bouchra sarebbe morta (anche in questo caso il condizionale è d’obbligo) tra il 2006 e il 2007 all’età di 34 anni. Non sarebbe chiara neppure la causa del decesso.
A tal proposito, in una lettera a degli amici, la principessa Latifa avrebbe formulato una denuncia gravissima: dopo la dipartita di Maktum bin Rashid, avvenuta nel 2006, Mohammed bin Rashid avrebbe dato ordine ai suoi uomini di assassinare Bouchra. “Si è sentito minacciato da lei e l’ha uccisa”, avrebbe aggiunto ancora Latifa.
Le reazioni al video di Latifa
L’emiro di Dubai ha sempre negato ogni accusa della figlia Latifa. I suoi avvocati sostengono, inoltre, che la principessa non avrebbe mai avuto intenzione di scappare. Anzi, nel 2018 le autorità emiratine l’avrebbero salvata da un presunto tentativo di rapimento.
Dopo il famoso video del 2018 la famiglia reale avrebbe fatto insistenti pressioni su Latifa affinché ritrattasse la sua versione dei fatti per il bene dell’emirato, rassicurando l’opinione pubblica internazionale. La principessa non avrebbe ceduto. Non subito, almeno. Così il Palazzo diffuse la notizia secondo cui la giovane avrebbe intrapreso una terapia per curare un disturbo mentale di cui non vennero resi noti ulteriori particolari. Nell’aprile 2019 l’amica Tiina Jauhiainen e l’attivista di Detained in Dubai David Haigh avrebbero fatto avere alla principessa, di nascosto, un telefono per continuare a comunicare con loro.
Grazie a questo espediente Latifa girò altri filmati, citati dalla Bbc. In uno di questi si sarebbe nascosta in bagno, “l’unica stanza della casa in cui posso chiudermi a chiave”, per raccontare ancora la sua difficile situazione: “Sono ostaggio in una villa che è stata trasformata in una prigione” con “le sbarre alle finestre” e “cinque guardie fuori dalla casa e due dentro…Non so se riuscirò a sopravvivere…le guardie mi minacciano dicendo che potrei non rivedere la luce del sole”.
Nel luglio 2020, però, sarebbe accaduto un fatto molto strano. Incredibile, persino. La principessa avrebbe troncato i rapporti con gli alleati Jauhiainen e Haigh. Nel 2021 tornò in pubblico e su Instagram venne pubblicata una foto che la ritraeva in un centro commerciale di Dubai con due amiche. Nel 2022 incontrò la ex presidente cilena Michelle Bachelet, Alta Commissaria Onu per i diritti umani. Cosa sarebbe successo? In che modo Latifa sarebbe passata dalla prigionia a una apparente libertà totale? Su Twitter la Bachelet, citata dal Guarian, riportò la notizia secondo cui la principessa le avrebbe garantito “di stare bene”.
Il 26 aprile 2023, sul suo nuovo account Instagram, la figlia dell’emiro scrisse: “…Sono totalmente libera e vivo una vita indipendente. Vivo a Dubai…posso…viaggiare”. A proposito di questo sorprendente cambiamento un’infermiera che aveva lavorato per la famiglia reale dichiarò: “Credo che [Latifa] abbia negoziato…e che ora stia conducendo la sua vita entro limiti accettabili”.
La guerra della principessa Haya
Quasi in contemporanea con la storia di Latifa emerse un altro caso di molestie e intimidazioni alla corte di Dubai, raccontato dalla Bbc. Il 15 aprile 2019 la principessa Haya, moglie dello sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktum dal 2004, fuggì da Dubai con i suoi due figli verso il Regno Unito. A quanto pare Haya, sorellastra del Re Abdallah di Giordania (i due hanno lo stesso padre, il defunto Re Husayn), avrebbe deciso di allontanarsi dall’emirato poiché temeva per la sua vita e per quella dei suoi bambini.
Giunta a Londra si rivolse all’Alta Corte, accusando il marito di ripetute violenze. Inoltre chiese un ordine di protezione contro la possibilità di un matrimonio forzato. A quanto risulta, infatti, lo sceicco avrebbe promesso in sposa Jalila, figlia avuta da Haya, al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (che ha 22 anni più della giovane).
Lo sceicco al-Maktum si difese sostenendo che negli Emirati Arabi non sarebbe rispettata la tragica consuetudine dei matrimoni combinati e accusò Haya di tradimento. La principessa, disse lo sceicco, avrebbe avuto una relazione di due anni con la sua guardia del corpo, Russell Flowers e speso 6,4 milioni di dollari per evitare che la notizia trapelasse.
Haya non si lasciò intimidire e, aiutata dall’avvocato Fiona Shackleton (la stessa che rappresentò Carlo III all’epoca del divorzio da Lady Diana), riuscì a dimostrare che lo sceicco al-Maktum hackerò il suo cellulare servendosi del software spia “Pegasus”.
Inoltre raccontò di aver subìto una pesante campagna intimidatoria: una mattina, per esempio, Haya avrebbe trovato nella sua camera una pistola carica. Nel dicembre 2021 l’Alta Corte di Londra stabilì che lo sceicco al-Maktum “è una minaccia” per la principessa Haya e i suoi figli, condannandolo a pagare alla ex moglie 554 milioni di sterline (650 milioni di euro).
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