
La Confcommercio rivede al ribasso le previsioni di crescita del Pil per il 2025 e 2026: +0,8% e +0,9% rispettivamente (da +0,9% e +1%) per le nuove incertezze globali: i dazi, l'instabilità dei mercati e la paura di perdere ricchezza."La parziale marcia indietro dell'amministrazione americana - ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - è una buona notizia: implica che abbiamo una controparte che ascolta imprese e mercati. Ma le ampie oscillazioni negli indirizzi di politica economica non sono prive di conseguenze. Nella prima parte dell'anno l'economia europea ne ha risentito. L'incertezza è rapidamente cresciuta. E rimangono barriere tariffarie più elevate che in passato. La loro rimozione richiede paziente, determinato e faticoso lavoro di negoziazione multilaterale, per ricucire e ripristinare".
Le stime di Confcommercio, presentate ieri al Forum annuale a Roma, organizzato con Teha-Ambrosetti, sono un po’ più alte di quelle del governo perché, secondo Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi dell’associazione, “affrontare uno scenario negativo con 24,3 milioni di occupati o con due milioni in meno e il 10% di disoccupazione fa una bella differenza”. Un riconoscimento implicito all’azione del governo, anche per la chiusura dei molti contratti collettivi che hanno alzato i redditi reali, e che dal tema lavoro si estende ai conti pubblici - come testimoniato dal rialzo del rating arrivato dall’agenzia Standard & Poor’s - e arriva fino all’inflazione, considerata sotto controllo. In altri termini il Paese si presenta nelle condizioni migliori per affrontare la burrasca. Se il tutto fosse accompagnato da un nuovo taglio dei tassi Bce, arriverebbe un ulteriore contributo alle performance macroeconomiche dell'Italia.
Nel quadro generale, una parte decisiva la svolgono i consumi, al centro dell'attenzione di Confcommercio. Anche perché gli italiani restano dei super-risparmiatori: hanno risorse, ma scelgono di non spenderle. Questo comportamento dei consumatori riflette non solo la situazione economica attuale, ma anche la memoria collettiva di decenni di bassa crescita e di crisi improvvise, e le paure legate alla fiammata inflazionistica del 2022. In altri termini, secondo il rapporto, gli italiani tendono a sopravvalutare gli effetti negativi della congiuntura e a ritardare i comportamenti espansivi. Di conseguenza cresce sempre molto la propensione al risparmio, che viaggia intorno al 9%. Mentre il consumo è sempre più "terziarizzato": calano alimentari, abbigliamento e trasporti; crescono invece i settori legati al tempo libero, alla cultura e alle comunicazioni.
La crisi dei consumi non è ancora superata. Si pensi che la spesa procapite dei residenti (pari a 21mila euro nel 2024, non è ancora tornata ai livelli del 2007 (21.600 euro) e non lo sarà nemmeno nel 2026 (prevista a 21.500). "L'attuale debolezza della domanda interna è un problema per la crescita della nostra economia" ha aggiunto Sangalli. Per il quale "bisogna rimettere al centro dell'agenda di Governo la riduzione delle imposte per il ceto produttivo. E bisogna farlo adesso".
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