La dirompente notizia dell’uscita di scena di Biden dalla corsa elettorale ha subito aperto un vivace dibattito sul futuro delle elezioni. Ma, in ballo, c’è molto di più della Stanza Ovale a partire dagli equilibri mondiali.
Come noto Joe Biden è stato il principale sostenitore internazionale Kiev, nonché il vero artefice del discusso ritiro dall’Afghanistan, che rappresenta ancora oggi un pugno nell’occhio per la Nato.
Le ombre sugli stanziamenti per Kiev
La sua uscita di scena, dopo peraltro forti pressioni da parte del medesimo partito di cui è leader, ha di fatto messo in discussione il suo operato presente e passato: il Presidente Usa non è solo un capo di Stato, bensì il comandante in capo della maggiore democrazia del mondo e della più grande potenza militare nel globo. E ricevere da un ex presidente (Obama) e da membri dei democratici la richiesta di fare un passo indietro vuol dire ammettere, implicitamente, che non è più in grado di reggere le responsabilità del proprio ruolo.
Non è cosa da poco, specie ad appena un mese dal nuovo pacchetto di aiuti da 225 milioni di dollari all’Ucraina, ulteriore importante investimento che, in caso di vittoria di Donald Trump, potrebbe trasformarsi in un boomerang per il fronte anti-Putin negli Usa e in Europa: tanti soldi (parte di altri ingenti capitali precedentemente investiti per la difesa ucraina) stanziati da un leader che, probabilmente, non era già più in grado di gestire se stesso, figuriamoci un conflitto internazionale.
Nato e guerra russo-ucraina
Qualora Joe Biden fosse rimasto sul palcoscenico fino al calare del sipario, Nato e Ucraina avrebbero potuto continuare a seguire le strategie difensive e diplomatiche finora adottate per contenere la Russia, forti del sostegno dell’inquilino della Casa Bianca e speranzosi di una sua riconferma nel novembre 2024.
Ma settimane di dubbi espressi dalle basi, dai vertici e dai finanziatori del Democratic Party avevano già scalfito l’immagine del 46° inquilino della Casa Bianca; ora, la sua uscita di scena è un colpo durissimo sia al futuro dei democratici americani, sia all’andamento delle operazioni militari nell’est Europa.
Chiariamoci, che a correre contro Donald Trump siano Kamala Harris o Gretchen Whitmer non significa certo che la guerra russo-ucraina si fermerà in attesa dell’esito delle elezioni. Fino ad allora, infatti, i piani già approvati dall’amministrazione statunitense e dalla Nato andranno avanti secondo i tempi e le modalità previste.
Nato e Kiev: niente mosse azzardate
Certo è che, per l’Alleanza Atlantica e per Kiev sarebbe bene non premere sull’acceleratore di ulteriori finanziamenti ed aumento flusso armi. In autunno, infatti, quando si giocherà la partita determinante fra Trump ed il candidato democratico, Jens Stoltenberg cederà il suo posto a Mark Rutte quale nuovo segretario della Nato il quale, in caso vittoria dei Repubblicana, si ritroverà nella difficile situazione di gestire gli impegni assunti dalla Nato con le eventuali, nuove richieste di Trump.
Trump che, malgrado l’endorsement in Michigan a Xi Jinping e a Putin difficilmente porrà fine al conflitto da un giorno all’altro, concentrandosi invece su quel che ha già promesso: richiesta ai Paesi membri dell’Alleanza di aumentare il budget difesa e impegno a trattare con il Cremlino per una soluzione diplomatica.
La Nato con Donald Trump
Un bel problema per il nuovo Segretario generale: se è infatti vero che la discussione sull’aumento del budget va ormai avanti dal 2006, nell’ultimo anno è stata proprio la percezione della minaccia russa ad aver messo d’accordo gli stati membri sulla necessità di incrementare gli stanziamenti.
Qualora quella minaccia dovesse ridimensionarsi, magari attraverso una cessione di territori ucraini a Mosca in cambio della pace, in
che modo Rutte riuscirebbe a convincere i paesi membri a mantenere i loro impegni finanziari in un’Alleanza di fatto sconfitta sul piano diplomatico e senza più una minaccia di fronte alla quale armarsi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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