«Se volete chiedermi come finirà la guerra avete sbagliato posto. Dovete chiederlo a Zelensky. Lui poteva sia impedirne l'inizio, sia fermarla. Ma non gli hanno permesso di fare né l'una, né l'altra cosa. Perché l'Ucraina è una nazione a sovranità limitata». Oleg Tsaryov ti guarda e sorride sornione mentre apre il cancello dell'antica dimora costruita sul crinale di una collina di Yalta. Un tempo era una casa di pietra costruita tra vigne e frutteti. Ora la piscina e il prato perfettamente rasato l'hanno trasformata nel buen retiro di questo ex deputato ucraino costretto all'esilio per le sue posizioni filo-russe. Un ex-deputato che il 24 febbraio scorso non ha esitato a seguire l'avanzata russa verso Kiev assieme ad un gruppo di fedelissimi in armi. Lui non lo nega.«Ho passato un mese intorno alla capitale. Ho visto la guerra e non la auguro a nessuno. Ma ho anche capito che la guerra poteva essere fermata».
Secondo l'intelligence Usa i russi erano pronti a nominarla presidente.
«Se lo dicono loro...».
Smentisce?
«Ho fatto politica per vent'anni e avrei preferito tornare a Kiev in altro modo, ma non ci hanno lasciato altre possibilità. E Putin non ha avuto alternative».
Cosa vuol dire?
«Nel 2014 dopo il colpo di stato voluto da Washington e la fuga di Viktor Janukovych mi ero candidato presidente, ma prima hanno tentato di linciarmi e poi m'hanno espulso dal Parlamento. A Kiev non sarei sopravvissuto. Così ho scelto l'esilio, ho sostenuto la nascita delle repubbliche di Lugansk e Donetsk e ho accettato la carica di presidente del Parlamento di Novorossya».
Per Kiev il progetto Novorossiya è il prologo di questa guerra.
«Mi sono dimesso nel 2015 quando Putin ha deciso che la soluzione del problema ucraino passava attraverso gli accordi di Minsk firmati dal presidente Poroshenko e accettati da Zelensky. Se Zelensky li avesse attuati non ci sarebbe la guerra, ma un'Ucraina neutrale con statuto federale e l'autonomia di Donetsk e Luhansk».
La sua spedizione a Kiev con i russi è finita male. Pensavate di vincere in tre giorni, invece...
«Preferisco non parlarne ma a sud e all'est non è andata così. Non a caso il governo Zelensky ha scelto i negoziati ed ha posto le sue richieste. La Russia si è ritirata dal nord dell'Ucraina perchè era pronta ad accettarle».
Vuol dire che a fine marzo si era ad un passo dal cessate il fuoco?
«Kiev chiedeva alla Russia di ritirarsi dagli oblast settentrionali di Kiev, Sumy e Chernihiv e da tutto il sud, tranne che dal Donbass e dalla Crimea. In cambio il governo Zelensky avrebbe accettato uno status neutrale, rinunciato alla presenza di armi nucleari sul proprio territorio e riconosciuto sia l'annessione della Crimea che delle repubbliche del Donbass».
Che prove ha?
«L'accordo era già stato annunciato dal capo negoziatore russo Vladimir Medinskij con la benedizione di Putin. Mosca aveva accettato le proposte dell'Ucraina ed era pronta a rispettarle».
E perché sarebbe saltato tutto?
«Perché l'Ucraina non ha più alcuna sovranità nazionale. Viene usata e sacrificata da Washington e Londra nel nome della guerra alla Russia e quindi non può trattare la pace».
Come fa a dirlo?
«Pensi alle date. Il ritiro russo dal nord si è concluso il 31 marzo, tre giorni dopo è montato il caso di Bucha. I servizi segreti inglesi sono i veri registi delle mosse di Kiev e sono stati bravissimi, anche in quel caso, a costringere Zelensky a rimangiarsi le intese».
Ha le prove per dimostrarlo?
«Le prove stanno Kiev».
Così è troppo facile.
«Fra i politici di Kiev ho ancora tantissimi amici e conoscenti e so che oggi nessuno di loro può decidere i propri
destini. Le decisioni vengono prese altrove con il solo scopo di fare la guerra alla Russia. Questo non basterà a sconfiggerla, ma di certo costerà tantissime altre vite russe ed ucraine. E questo per me è un vero dolore».
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