Anche i "duri" di Trieste evitano il blocco totale. E i Tir entrano in porto

Il manipolo di camalli della capitale No Pass sceglie la linea morbida. Ma non se ne va

Anche i "duri" di Trieste evitano il blocco totale. E i Tir entrano in porto

Trieste «Dovemo fermar tuto e tuti» urla in dialetto Fabio Tuiach, pettorina gialla d'ordinanza dei lavoratori portuali, codino e naso schiacciato da pugile. Al valico numero 4 del porto di Trieste, la protesta contro il green pass è cominciata alle 6 del mattino, ma l'irriducibile di estrema destra non ci sta a far passare i pochi coraggiosi che non vogliono scioperare. «Se non lavoro io e neanche mia moglie dipendente di un supermercato, perché siamo No Pass, non devono farlo neanche gli altri» si inalbera Tuiach cercando di fermare un'utilitaria grigia infilata nella folla e più tardi ha tirato un pugno in faccia ad un altro portuale in uno scontro con l'ala di estrema sinistra. All'interno un pacato e barbuto dipendente del porto ribadisce: «Rispetto la loro protesta, che facciano lo stesso con me lasciandomi passare». I «fratelli» del Coordinamento lavoratori portuali di Trieste fermano Tuiach, che si consola agitando un rosario di Medjugorie e spiegando che «monsignor Viganò, vicino a Trump, e il direttore di Radio Maria» sono contro il green pass. I fan lo applaudono e lui ricorda «che in Europa è obbligatorio solo per noi stupidi italiani».

La linea dei portuali duri e puri si è ammorbidita trasformando il blocco in sciopero e presidio. Chi vuole entra, ma a farsi largo fra la folla che aumenta sono neanche 10 macchine. I portuali cantano vittoria sostenendo che «su 800 sono andati a lavorare solo in 100». L'annunciata paralisi, però, è evaporata scontentando tanti No Pass e la protesta non si allarga ad altri scali strategici. A dettare la linea è Stefano Puzzer, portavoce dei portuali che ribadisce al Giornale: «Fino a quando non ritireranno il green pass manterremo questo presidio rispettando la libertà di scelta di tutti». Il capopopolo, detto Ciccio, è una star che signore attempate e nerboruti manifestanti rincorrono per immortalare con un selfie.

Dopo qualche ora l'ingresso al porto si riempie con 6-7mila manifestanti No Pass, che arrivano dalla città, ma pure da Udine, Verona, Vicenza e Firenze. Tutti sono attratti dal clamore mediatico di Trieste «capitale No Pass». Le forze dell'ordine mantengono un basso profilo e vanno anche a prendere un caffè nell'improvvisata cucina da campo della manifestazione ricavata sotto un cavalcavia. «Prepariamo il cibo per la resistenza» dichiara Diego Sen, giovane cuoco che non vuole il vaccino. Un paio di pachidermi su ruote che trasportano merci devono fare marcia indietro davanti alla folla. I Tir vengono dirottati sul varco numero 1 del porto, che doveva essere pure presidiato. In realtà c'è solo un drappello di agenti e una fila di camion in attesa di entrare.

La barriera umana in appoggio ai portuali è come sempre un mondo sorprendente. Quando si alza il sole c'è chi suona il corno come i vichinghi. Un vigile urbano non in servizio è convinto: «Bisogna eliminare la tessera verde, atto politico che di sanitario non ha nulla». Un signore con i capelli grigi si aggira sostenendo che «è tutto frutto dei satanisti».

Loris Mazzorato già sindaco vicino a Treviso si presenta con una maglietta che riporta l'annuncio delle leggi razziali del 1938. Ex alpini cantano le strofe della Julia e un gruppetto indossa le magliette amaranto dei vigili del fuoco. I giornalisti bollati come «venduti» vengono presi di nuovo di mira.

Sebastiano Grison, uno dei capi del Coordinamento dei portuali, sostiene che «siamo pronti a non lavorare fino al 31 dicembre, quando scadrà il decreto green pass.

Per noi è un provvedimento criminale». La barriera umana, però, si indebolisce con il calare del buio. E una fonte del Giornale nelle forze dell'ordine spiega «che non verrà tollerata a lungo questa situazione. Siamo solo in attesa dell'ordine di sgombero».

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