Giorgia Meloni è una donna. Questa affermazione sembra scontata ma qualcosa negli ultimi tempi la rende molto meno banale. Tutto è cominciato con il suo arrivo a Palazzo Chigi. Il capo del governo per la prima volta non è un uomo. Per una manciata di giorni quasi tutti riconoscono, magari a malincuore, la svolta storica, poi accade qualcosa che a un osservatore disincantato appare perlomeno surreale. Si comincia in pratica a disquisire sul sesso degli angeli. È donna ma in fondo in fondo non lo è. È donna ma pensa come un maschio. È donna ma non lo sa. È donna ma viene da un mondo maschilista. È donna ma porta la figlia alla Casa Bianca. È donna ma non è femminile. È donna ma non è femminista. È donna ma si battezza al maschile. È donna ma incarna quel ruolo quasi fosse un uomo. È donna ma si veste male. È donna ma ha un compagno che non sa stare al proprio posto. È donna ma non è autorevole come Mario Draghi. È donna ma è di destra. È donna ma ha una sorella ancora più di destra. È donna ma ha un cognato. È donna ma appartiene a una famiglia patriarcale e pazienza se il padre se ne è andato di casa quando lei era ancora una bambina. È donna ma forse non è vero che con quel padre morto ha rotto tutti i ponti. È donna ma il presidente del Senato è Ignazio La Russa. È donna ma la sua nonna paterna era un'attrice. È donna ma non si dichiara antifascista. È donna ma non sembra soffrire troppo per il demone improvviso del femminicidio. È donna ma non festeggia con rabbia la parola dell'anno. È donna ma è pure l'uomo dell'anno. È donna ma si ammala troppo spesso. È donna ma troppo mamma. È una donna ma chi si crede di essere. È donna, ma.
Queste sono le argomentazioni più o meno capziose dei suoi avversari. È umano soprattutto che la sinistra viva con parecchio fastidio che la prima donna presidente del consiglio non sia culturalmente affine. È un'anomalia. È forestiera. È vissuto quasi come uno scherzo del destino, come un'occasione perduta, come un vizio apparso all'improvviso, quando organigrammi alla mano ci si è accorti che nel partitone le donne, porca miseria, erano marginali. Il paradosso è che l'arrivo di Elly Schlein alla segreteria del Pd sia anche la conseguenza mediatica della prima volta di Giorgia Meloni. È una sconfitta culturale. Pazienza.
Il sospetto, però, è che anche la destra non abbia davvero fatto i conti con l'opportunità Meloni. No, non è solo una bandiera da sventolare o un motivo di orgoglio. È che non si valuta abbastanza il peso della sua «divergenza». È la sua storia controcorrente, con una famiglia matriarcale e la tendenza a muoversi fuori dagli schemi che segna la sua avventura umana e politica. La destra invece troppo spesso si rifugia in una sorta di ortodossia dove scantonare è sconsigliato. È una percezione che sta crescendo da quando si sta al governo.
C'è voglia, forse per un bisogno di identità, di rincorrere le solite parole d'ordine. Il successo di Giorgia viene invece anche da scelte coraggiose. È brava quando sorprende, quando sa stupire, quando non te lo aspetti. È una destra che non si acquartiera. È donna.
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