Il primo fu inaugurato il 31 ottobre del 1957: si chiamava Atomei ed era il reattore nucleare di Garching, in Baviera, che la Technische Universität di Monaco mise in servizio per la produzione di neutroni per scopi di ricerca scientifica. Nell'arco degli ultimi 66 anni la Germania ha inaugurato 110 reattori. Oggi ne restano attivi tre: Isar 2, sempre in Baviera; Emsland in Bassa Sassonia; e Neckarwestheim 2 in Baden-Württemberg. Se nel 2004 quasi un terzo dell'energia prodotta nel Paese derivava dall'atomo, la percentuale è precipitata intorno al 4% nel 2022 e sabato prossimo suonerà l'ora della chiusura anche per gli ultimi tre impianti.
Una legge proposta dal secondo governo di Angela Merkel e approvata a grande maggioranza dal Bundestag nel 2011 aveva disposto l'uscita della Germania dal nucleare entro la fine del 2022. La guerra russo-ucraina e la conseguente crisi energetica hanno poi spinto la maggioranza del cancelliere Olaf Scholz a concedere una proroga per le ultime centrali fino al 15 aprile 2023. La scelta della data non è stata per niente facile e i litigi dei mesi scorsi fra i Verdi, sostenitori da sempre della chiusura delle centrali, e i Liberali, favorevoli a mantenere attiva una fonte di energia ben rodata e che non produce CO2, sono ripresi come nel pieno della crisi energetica. Ai tanti tedeschi che, dopo la fiammata inflazionistica causata dall'alta bolletta del gas, oggi hanno dubbi sull'uscita definitiva dall'atomo, si è rivolto Robert Habeck, ministro dell'Economia e storico leader dei Grünen: «La sicurezza dell'approvvigionamento energetico è stata garantita durante questo difficile inverno e continuerà a esserlo». È vero che nel giro di pochi mesi il governo ha fatto miracoli, disponendo l'apertura di una serie di impianti di rigassificazione sulle coste del Mare del Nord e inaugurandoli uno a uno con un'efficienza, velocità e mancanza di ricorsi impensabili alle nostre latitudini.
Della fine dell'atomo non sono per nulla contenti gli imprenditori. Parlando alla Rheinische Post, il presidente della Dihk, l'associazione delle Camere di commercio e dell'industria tedesca, Peter Adrian, ha osservato che «la Germania non è ancora fuori dai guai», che i costi energetici rimangono elevati e occorre «espandere la fornitura di energia, non limitarla ulteriormente». Morale: le tre centrali nucleari rimanenti «dovrebbero continuare a funzionare fino alla fine della crisi». Con la Dihk sono i Liberali del ministro delle Finanze Christian Lindner, il partito dal colore giallo, il più piccolo della coalizione «semaforo».
I Liberali sono tradizionalmente visti come i rappresentanti degli interessi dell'industria, ma secondo l'ultimo sondaggio YouGov per dpa, oggi solo circa un terzo dei tedeschi sostiene la chiusura definitiva degli impianti, mentre due terzi sono a favore di un ulteriore prolungamento temporaneo o sul lungo periodo. E sulla conservatrice Welt scoppia la polemica: perché la chiusura di ogni reattore, che già scontenta tanti, dura due volte di più e costa quattro volte lo spegnimento di un reattore nella vicina Svezia?
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