La vera domanda, ed è politica, non letteraria, è: adesso, finite le cronache e le analisi giornalistiche, come si potrà raccontare Silvio Berlusconi?
Con un romanzo? (già fatto). Con un pamphlet? (già fatto: ce ne sono moltissimi). Con un j'accuse? (che noia). Con un saggio storiografico? (strafatto). Con uno sociologico-antropologico? (No, no!). Con una - banale - biografia? (ce ne sono troppe, nessuna bella).
La risposta migliore, e anche la prima in ordine di tempo ora che siamo arrivati improvvisamente al «dopo», è quella di Pietrangelo Buttafuoco, giornalista così bravo da non avere un giornale, il quale da spettatore, da intellettuale e da osservatore della politica e del costume, ha vissuto tutta l'allegoria berlusconiana, dagli irripetibili giorni edilizi brianzoli - il «Numero Uno», Milano 2 e 3, Rete 4, Canale 5, «Sei tutti noi Silvio!» - fino al sogno tradito del Quirinale, e ora - un po' capocomico, un po' puparo siciliano - ha pensato di metterla in scena ad uso di tutti noi: berlusconiani, antiberlusconiani, scettici, fan, amanti e odiatori. E come lo fa? Con un libro non convenzionale, eccentrico, libero come il suo (s)oggetto: un saggio di critica letteraria che legge, analizza e recensisce un personaggio-capolavoro, ArciSilvio, e con lui trent'anni di storia italiana. Titolo Beato lui, sottotitolo «Panegirico dell'arcitaliano Silvio Berlusconi» (Longanesi). Un libro già pronto quando Berlusconi entròo in ospedale, leggermente posticipato perché nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo, e ora, col precipitare degli eventi, inevitabilmente precipitato in libreria.
E siamo all'oggi: la folla che l'altro ieri ha abbracciato il Cavaliere nell'addio al funerale è la stessa che lo accolse, attraverso le sue tv, quando scese nel campo della politica, ed è la stessa moltitudine che nel prologo romanzato del non-romanzo di Buttafuoco lo applaude nel sogno che sembra vero dell'ingresso nel palazzo del Quirinale.
Ma davvero si può raccontare Berlusconi come fosse un'opera d'arte? Sì, perché in lui si concentrano grandi gesta, trionfi, cadute, provocazioni, amori, prodigalità, mattane, colpi di genio, un po' commedia alla Sogno di una notte di mezza estate, un po' tragedia alla Re Lear. Soltanto la letteratura può trasfigurare una vita così. E allora Pietrangelo Buttafuoco, uomo di teatro, mette in scena in nove capitoli l'ultima grande maschera italiana, un «carattere unico», il personaggio-Cavaliere che ha saputo farsi letteratura. «Come il duca Valentino, come Cagliostro e come Giuseppe Garibaldi - tutti uomini totali e arcitaliani, sepolti tutti sotto montagne di bibliografie e leggende - egli è persona che diventa personaggio e però solo lui s'impone ai posteri con un sovrappiù di fantasia».
Lui resta nella Storia. Gli altri non si sa.
Di Berlusconi si sa tutto, ma senza mai capire se sia vera o no ogni diceria su di lui. Di certo tutto quel che lo riguarda è ben raccontato.
Il racconto di Buttafuoco, dopo la fantasticheria quirinalizia, inizia - anno 1994 - con la disfida televisiva tra lo Stregatto-Berlusconi e Achille Occhetto, dopo la quale nulla, né l'Italia, né il comunismo, sarebbe stato più come prima. E finisce - in una delle pagine più belle dell'epica arciSilviesca, anche per una certa malinconia - con l'autore-Buttafuoco che assiste al trasloco di un pezzo di storia nella celebre residenza romana del Cavaliere, pochi anni fa, tra furgoni, ingombri, arredi, lettoni, scatole e colli - il tramonto di un impero - sotto gli occhi di una donna misteriosa, bellissima, bionda (tutte le donne di Berlusconi sono bionde), seduta su una panchina sotto i portici del cortile, intenta a vigilare sul lavoro dei facchini e della quale il Narratore scorge solo le lunghissime gambe nude, accavallate, che indossano delle Louboutin inesorabili. Titolo del capitolo, che è quello di un grande romanzo arcitaliano di cui in tanti vorrebbero essere protagonisti: «Ultimo tacco a Palazzo Grazioli».
Ville (tantissime, tante da non riuscire ad abitarle tutte). Aspiranti successori «tutti svaniti nella indistinta irrilevanza propria di figuranti che appaiono nel breve istante di una fugace scena». I fatti che con lui - grazie a lui - superano sempre ogni immaginazione. Sua Emittenza, Sua Apparenza, Sua Villeggiatura, Sua Degenza. Il canuzzo Dudù e i suoi discendenti. Calippi, Caimani, il cuoco Michele, il vulcano finto ma perfettamente funzionante, «l'igienista dentale vestita di solo filo» e Sanbittèr...
«Nessuno, beato lui, è come Lui».
(B. ha cambiato per sempre i tempi. Facciamocene una ragione).
Intuizioni buttafuochiane. Berlusconi è il più mozartiano degli uomini politici. «La patria del melodramma ha trovato in Berlusconi, che è amico di tutti nemico di nessuno, il primo dei suoi amanti». La sua vita melodrammatica è il grande romanzo italiano che Silvio consegna al mondo (dopo di lui sarà solo noia). Al suo confronto Gianni Agnelli è una celebrità regionale. È l'unico tra i ricchi del Bel Paese a non aver avuto soggezioni mentali verso l'impegno intellettualoide degli egemoni. Nessuno come lui ha avuto simpatia e persino stima per quanti (e sono tanti) hanno saputo fare soldi avversandolo.
È (era) un motivatore unico: non ha dipendenti, bensì collaboratori, non ha gregari e tanto meno gerarchi ma fan, non ha con sé un popolo ma un pubblico. «E, detto ciò, comanda».Ah: aveva anche un metodo infallibile per distinguere gli amici. Chi più rideva alle sue barzellette, sapeva che era già pronto a tradirlo. Che è qualcosa di comico e di tragico insieme.
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