Donne trascinate via e spari su chiunque. Il rave nel deserto inizio del massacro

In 3mila, di varie nazionalità, riuniti per la festa della musica. Il medico sul posto: "Ho visto almeno 200 corpi". Nei video il sequestro choc di Shani e l'urlo di Noa

Donne trascinate via e spari su chiunque. Il rave nel deserto inizio del massacro
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L'urlo di Noa esce quasi muto. Allunga le braccia come per essere afferrata, ma anche quel gesto è mosso senza convinzione. Gli unici che potrebbero salvarla hanno le mani legate dietro la schiena e sono ostaggio degli stessi terroristi che hanno caricato lei su una motocicletta per portarla via, a Gaza probabilmente. Uno dei ragazzi è il «suo» ragazzo, Avinatan Or («un omone alto due metri che si allena quattro volte alla settimana e che è davvero forte» ha detto poi di Avinatan il fratello). È a lui che Noa rivolge quella supplica inutile e straziante mentre con la faccia racconta il terrore. Noa Argamani è israeliana ed è una delle tremila persone di varie nazionalità che stavano partecipando al rave party (Nova Music Festival) vicino al kibbutz di Reim (quasi al confine con Gaza) per celebrare la festa di Sukkot.

È stato uno dei primi luoghi sui quali si è abbattuta la furia di Hamas: una strage, un massacro. «Ho visto almeno 200 cadaveri sul posto» ha raccontato un medico israeliano intervenuto sul luogo «mai visto nulla del genere. Un agguato, le squadre di terroristi li aspettavano davanti alle uscite di emergenza». Hanno sparato a chiunque.

Centinaia di morti e «dispersi» verosimilmente presi in ostaggio come Noa e i suoi amici. Nei video diffusi da chi è riuscito a mettersi al sicuro o dagli stessi jihadisti, si sentono i colpi sullo sfondo e si vede del fumo nero alzarsi e la gente che scappa in mezzo al nulla, qualcuno tenta di salire sulla propria auto: alcuni ci riescono, altri rinunciano e proseguono non si sa dove, con la disperazione nei passi incerti. In un altro video, l'orrore di come gli islamisti portano via Shani Louk (nella foto): la caricano su un pickup con la faccia rivolta a terra e sembra inanimata. Degli uomini la calpestano, uno le tira i capelli, un altro le sputa sulla testa insanguinata che non è l'unica parte insanguinata, urlano «Allah Akbar» prima di ripartire a tutta velocità. Shani ha 22 anni, è una tatuatrice con cittadinanza tedesca perché sua madre, Ricarda Louk, è nata a Ratisbona ma ormai da trent'anni vive in Israele, dov'è nato il marito con il quale ha quattro figli (Shani è la secondogenita). Hanno reso nota la cittadinanza della figlia nella speranza che le autorità tedesche possano intervenire in caso di un eventuale scambio di prigionieri. «Non voglio pensare che le sia accaduto qualcosa di grave» dice Ricarda allo Spiegel, ma il modo in cui Shani è tratta nel video è atroce. Inizialmente Hamas aveva detto che la donna nelle immagini era una soldatessa israeliana, ma anche i genitori hanno confermato che si tratta di Shani.

Era invece sì un militare dell'esercito israeliano, ma di nazionalità inglese, Nathanel Young, 20 anni, originario del Nord di Londra. Viveva in un alloggio per soldati delle Forze di Difesa Israeliane a Raanana, a nord di Tel Aviv ed era al rave per garantire il servizio di sicurezza. Come un suo connazionale, lì per lo stesso motivo e che ora risulta disperso, Jake Marlowe, 26 anni, nel Paese da due. Aveva fatto in tempo a telefonare alla sua mamma, nella notte. A Lisa, così si chiama la madre, aveva detto che sentiva «tutti questi razzi...» e un'ora e mezzo più tardi, l'aveva ricontattata «segnale molto brutto, tutto ok, ti terrò aggiornata, te lo prometto, ti voglio bene». Di Jake non si sa più nulla. Non si sa se sia morto, ricoverato in un ospedale o rapito dai terroristi, buio completo. E c'è il raggelante racconto di Gili Yoskovich, che se non altro è riuscita a salvarsi nascondendosi per ore dietro agli alberi di pomelo. È rimasta immobile, in silenzio, a occhi chiusi ad ascoltare gli spari, a tratti ha perfino trattenuto il respiro per il timore di essere scoperta.

C'erano morti ovunque, corpi ammassati, grida. Ma ha pensato ai suoi bambini e si è detta «non è ancora il momento di morire»: è così che ha resistito. E alla fine ha sentito le voci dei soldati israeliani che sono arrivati a portarla in salvo.

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