«Un boato mai sentito», «Ho pensato a una bomba», «Sembrava un terremoto» raccontano gli abitanti di Calenzano e di Firenze. Ma quello che per la maggior parte è stato un incredibile spavento, per le famiglie degli operai è stato l'inizio di un'apnea. Sì, la nube di fumo arrivava proprio da «quella» parte. Panico. Nessuna risposta al telefono. E allora altro che chiudere le finestre per non respirare quel fumo nero. Di corsa in macchina verso l'impianto Eni. Le transenne, le sirene, le domande senza risposta, l'attesa infinita. A metà pomeriggio si sa che le vittime sono due. Ma i loro corpi non sono identificabili, non vengono diffusi subito i nomi. E il bilancio è provvisorio perché ci sono ancora tre dispersi e 9 feriti. Un uomo viene messo in salvo alle ore 13, grave ma vivo. E la notizia riaccende le speranze nelle famiglie di tutti gli altri.
Alle 17,30 il primo nome degli operai morti piomba tra chi aspetta come un macigno. È quello di Vincenzo Martinelli (nella foto), originario di Napoli ma residente a Prato: 51 anni, autista di autocisterne, lascia due figlie. La seconda vittima, accertata ma difficile da identificare, è di Bientina (Pisa).
Dei nove feriti due sono gravi. Uno, un 51enne della provincia di Livorno (Collesalvetti), è stato portato al centro Grandi Ustionati dell'ospedale di Cisanello (Pisa) con il 70% del corpo ustionato. L'altro operaio è all'ospedale fiorentino di Careggi. Si tratta di un uomo proveniente da Villa d'Agri (Potenza). Gli altri sette, meno gravi, sono tutti operai che stavano guidando le autocisterne. In particolar modo - su quella lista - c'è il nominativo di un operaio originario di Catania di 57 anni, di un operaio originario di Napoli di 62 anni, un operaio originario della provincia di Novara di 49 anni, un operaio nato in Germania ma dalle origini italiane di 45 anni e infine un operaio nato a Matera di 45 anni.
Al Careggi di Firenze è stata anche allestita una sala per accogliere i parenti dei feriti, a cui è stato garantito sostegno psicologico nelle ore di estenuante attesa. Un'attesa tremenda, la loro, con la paura di veder entrare in quella stanza qualche operatore e sentir pronunciare il nome del marito, del padre, del fratello.
Poi ci sono gli impiegati delle ditte vicine, 15 quelle evacuate: molti feriti ma lievemente. «C'è stata un'onda d'urto che ci ha travolto, ci sono caduti in testa i vetri e i pannelli del soffitto». L'impatto dell'esplosione è stato talmente forte che ha scardinato portoni, piegato claire dei garage, spaccato finestre. «Il mio furgone si è alzato di due metri da terra per l'onda d'urto, e io per il boato ora sento poco» lamenta un corriere di una ditta di trasporti che ha la sede vicina al luogo dell'esplosione. Gli operai dell'impianto sono fuggiti senza capire cosa fosse successo.
La testa coperta dalle mani e il passo lungo, terrorizzati.Chi cerca di descrivere quel boato ha ancora gli occhi sgranati, la paura addosso. E piange, un'altra volta, per morti che - lo diranno le indagini - forse si potevano evitare.
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