In pieno giorno, in un bel quartiere di Teheran, sotto la sua casa dove era appena tornato dalla Siria: insomma, la coppia che gli ha sparato dentro la sua auto da una motocicletta per poi svanire nell'ombra doveva essere molto sicura del fatto suo; molto, per così dire, professionale. Adesso, fra le accuse di terrorismo seguite da minacce, il presidente iraniano Raisi naturalmente fa capire che la vendetta prenderà di mira Israele, alquanto sospettato di aver giustiziato il comandante delle Guardie della rivoluzione Hassan Sayad Khodaei con un'operazione del Mossad.
Non sarebbe la prima volta che ha luogo un'eliminazione mirata contro il regime iraniano che dichiaratamente mira alla distruzione d'Israele, e specialmente contro la potente organizzazione che è la colonna del regime: tutti ricordano quella spettacolare di Mohseh Fakhrizadeh sull'autostrada nel novembre 2020, un anno dopo quella storica di Qasem Suleimani in Irak, di cui invece si è vantato il presidente americano Trump. Questa aveva l'ambizione, in parte riuscita, di frenare le forze iraniane belligeranti in tutto il Medio Oriente. Suleimani ne era l'architetto. Fahrizadeh invece era lo stratega e il tecnico della costruzione della bomba atomica, che l'Iran ha sempre visto come la sua arma finale per consentirgli la distruzione di Israele, obiettivo centrale per il dominio del mondo in nome dell'Islam sciita, e un modo per tenere a bada gli Usa.
L'eliminazione di Khodaei è diversa: Khodaei nel puzzle iraniano per la conquista del potere aveva una specie di portafoglio di politica internazionale come addetto alla Siria e al terrorismo. Preparava, si scrive, uccisioni e rapimenti di ebrei locali eminenti e personalità israeliane; per esempio a Cipro aveva cercato di intrappolare un famoso uomo di affari, e pare che organizzasse attentati in Africa, Sud America, Turchia, e che là avesse preparato attacchi a membri dell'ambasciata israeliana. Ma la dislocazione strategica siriana, in un momento di crisi mondiale che investe i rapporti di tutto il mondo con la Russia che è il «landlord» della Siria da quando gli Usa hanno lasciato campo libero, ha un significato speciale: l'Iran è rimasto il principale alleato di Putin sul campo. La Russia tiene molto a quella postazione, e l'impressione è che l'Iran stesse rafforzandosi forte di questa nuova situazione. Khodaei era un esperto di droni, oggi usati in Siria contro Israele: nel novembre scorso il ministro della Difesa Benny Gantz lanciò l'allarme.
L'attacco cade in un momento di grande debolezza del regime: nelle strade di molte città masse di cittadini disperati affrontano il regime spinti dalla fame e dall'insofferenza per gli ayatollah, incuranti delle botte e degli spari delle Guardie rivoluzionarie che hanno già ucciso, sembra, 10 persone. Nel 2009 i moti furono stroncati da una strage di centinaia di morti, ma la gente è di nuovo in piazza.
In più, la sconfitta elettorale degli Hezbollah in Libano, su cui il regime ha investito tanto, la debolezza di Hamas e dei suoi alleati in Irak, lo rendono una tigre in caccia, pericoloso non solo sul fronte della bomba atomica, allo stadio finale, ma per tutto il Medio Oriente. Sono in molti quelli che non rimpiangeranno Khodaei. Le minacce di Raisi però sono rivolte a Israele.
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