"La guerra è la nostra storia. Ma l'avevamo dimenticato"

Lo scrittore francese: "Per noi l'Europa è pace, però alle radici abbiamo i conflitti, dall'Iliade in poi"

"La guerra è la nostra storia. Ma l'avevamo dimenticato"

Solo un anno fa, parlando con Mathias Enard, a proposito della letteratura aveva detto: «Scrivere è un viaggio fra la magia perduta e le nostre miserie». Quante miserie ci sono oggi, sotto i nostri occhi, e quanta magia, che sentiamo perduta, di un grande Paese dalla storia immensa quanto i suoi paesaggi. Un anno fa Enard parlava di Oriente e Occidente, il tema al centro di Parlami di battaglie, di re e di elefanti e di Bussola, il romanzo con cui ha vinto il Goncourt nel 2015. Ora è appena stato ripubblicato Zona (da e/o, suo editore italiano), romanzo che racconta di Francis Servain Mircovic, una spia, prima in Medio oriente e poi nei Balcani in guerra negli anni '90. E anche il rapporto fra Russia e Occidente è un altro dei temi cari al romanziere francese, come ben sa chi ha letto il breve (e bellissimo) L'alcol e la nostalgia. Enard si trova in Italia, a Pordenone, perché quest'anno è il protagonista del Festival Dedica (fino al 12 marzo).

Mathias Enard, il suo Zona, appena tornato in libreria, parla proprio di guerra.

«E di guerre, al plurale. Purtroppo la storia, non solo d'Europa ma di tutto il Mediterraneo, è fatta di guerre, da tremila anni a questa parte. Di guerra, di conflitti, di grande violenza».

Il conflitto in Ucraina però ci sconvolge.

«Il fatto è che, forse, l'Europa si era dimenticata della guerra, negli ultimi cinquant'anni. A parte, appunto, l'esplosione di violenza nell'ex Jugoslavia, proprio nel cuore del continente».

Anche quella guerra è stata un po' dimenticata?

«Forse sì, anche se è stata molto violenta e, soprattutto, non è ancora finita. In Bosnia esiste uno status quo, ma non è stata trovata una soluzione al conflitto. Sono ferite aperte che possono essere di nuovo squarciate».

Come è avvenuto ora in Ucraina?

«Esattamente come adesso. Putin aveva voglia di usare la forza per ottenere quello che voleva, e lui vuole un Impero sovietico, in termini attuali. Lo abbiamo visto in Georgia, in Crimea... Ma gli europei non hanno voluto vedere la possibilità di una nuova guerra».

Perché?

«Perché per noi Europa significa pace e, quindi, non abbiamo voluto vedere che invece c'era una guerra».

Del resto, il primo poema d'Europa, l'Iliade, che tanto risuona in Zona, è un poema di guerra...

«Certo, l'Iliade. Ecco, gli ottimisti vedono l'Odissea come la fonte della letteratura europea; quelli come me, purtroppo, alla sua origine vedono l'Iliade. Questi due lati ci sono sempre, anche nella letteratura europea».

Come vede la storia d'Europa?

«Io sono uno scrittore, e vedo, nella storia della letteratura, che alcuni dei grandi romanzi sono stati scritti in tempo di guerra, e la raccontano, insieme alle vittime e alle distruzioni. In Guerra e pace, Tolstoj descrive la guerra e anche la relazione del romanzo con la storia, cioè si chiede perché uno scrittore debba raccontare la guerra e la storia. Ed è, forse, la parte più importante del libro».

Lei ha raccontato anche la Russia.

«Sono stato un paio di volte, ho una grande passione per la Russia e la sua letteratura. L'alcol e la nostalgia è un piccolo romanzo russo».

Un viaggio nell'immensità del Paese.

«È anche un viaggio reale: l'ho scritto a mano, sul treno, viaggiando da Mosca a Novosibirsk. Ci si ubriaca nel suo paesaggio, fra tutti quegli alberi...».

La libertà è uno dei temi del libro. Che cosa pensa della libertà in Russia?

«Credo che la letteratura russa si possa leggere come la storia della battaglia dell'uomo contro lo Stato: gli scrittori russi e sovietici che amiamo, Dostoevskij, Grossman, sono quelli che hanno combattuto la violenza dello Stato».

Zona è ancora attuale?

«Purtroppo credo che l'esperienza del protagonista ci parli proprio del mondo di oggi: di spie, di come le guerre si combattano su più fronti che non si vedono, di quante vittime ci siano di cui non si parla, di distruzioni dimenticate, di gente abbandonata...»

L'Iliade è sempre in noi?

«Del resto, anche la storia dell'Odissea non potrebbe esistere, senza l'Iliade. Altrimenti Ulisse non uscirebbe di casa, starebbe lì con Penelope e il cane. Anche se poi, tornare a casa per trovare tutto esattamente come prima... per me è un po' triste. Credo che i viaggi come quello di Enea siano più interessanti per noi, perché cambiano le cose, ci portano verso l'altro».

Ma lei si aspettava l'invasione?

«No, sono sotto choc. Anche io, come gli altri europei, dovrò cambiare il mio paradigma».

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