Hamas, ritardi sulla tregua per evitare il blitz a Rafah

La risposta non arriva. Telefonata di Haniyeh al capo degli 007 egiziani: "Studiamo, con spirito positivo". Pressing di Israele

Hamas, ritardi sulla tregua per evitare il blitz a Rafah
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Una delegazione di Hamas andrà presto al Cairo per nuovi colloqui sul cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Una corsa contro il tempo per fermare l'offensiva su Rafah, con Israele che ieri sera ha riunito il gabinetto di guerra. Questo sviluppo arriva poche ore dopo che il gruppo terroristico aveva dichiarato che avrebbe rifiutato l'ultima proposta approvata da Tel Aviv. Il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, è intervenuto di persona e ha avuto una telefonata con il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamel durante la quale ha sottolineato: stiamo «studiando» la proposta di tregua «con spirito positivo». Le indiscrezioni escono di continuo e si rincorrono dichiarazioni anche contraddittorie. Una fonte egiziana al corrente dei negoziati al giornale del Qatar Al-Arabi Al-Jadid ha fatto sapere che nelle trattative al Cairo sono stati «risolti diversi punti controversi» anche se resta «lo scoglio del cessate il fuoco permanente o meno». La stessa fonte ha aggiunto che «nelle ultime ore sono state raggiunte formulazioni soddisfacenti per quanto riguarda il ritiro graduale di Israele da Gaza e il ritorno degli sfollati nel Nord della Striscia». Il sito Ynet invece ha riferito che lo Stato ebraico stima che la risposta definitiva di Hamas arriverà con ritardo di diversi giorni da quanto previsto.

Sembra tutto in salita è vero, ma potrebbe esserci anche una svolta. Mercoledì sera Hamas sembrava pronto a respingere l'ultima proposta, ma poi qualcosa è cambiato. Osama Hamdan, un funzionario del gruppo in Libano, aveva dichiarato alla tv Al-Manar vicina a Hezbollah: «La nostra posizione sul negoziato è negativa». Ma la dirigenza aveva però subito chiarito: «Ciò non significa che i negoziati si siano interrotti». Il gruppo terroristico avrebbe dovuto presentare ieri una proposta modificata, ma ciò non è ancora avvenuto. Non è chiaro però se Israele sarà pronto a dimostrare ulteriore flessibilità dopo aver già accettato un'offerta che prevede il rilascio di soli 33 ostaggi donne, anziani e malati, dopo il rifiuto da parte di Hamas della precedente che ne prevedeva il rilascio di 40 e sempre dei più vulnerabili. I dubbi di Hamas derivano dalla convinzione che questo negoziato non sia sufficiente a garantire la fine della guerra. Tel Aviv da parte sua si è rifiutata di impegnarsi a porre termine al conflitto. Il premier Benjamin Netanyahu ha infatti puntualizzato: «Faremo ciò che è necessario per vincere e sconfiggere il nostro nemico, anche a Rafah».

È questo il punto della questione. Hamas, secondo alcuni analisti, si ritirerà dalle trattative se lo Stato ebraico lancerà l'operazione di Rafah. «Israele ha fatto compromessi molto importanti, e ha dimostrato di voler portare a termine questo accordo», ha fatto notare il segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha ribadito l'opposizione di Washington a un'invasione di terra a Rafah, perché non c'è ancora un piano definito che garantisca la fuga ai civili. Non è chiaro però neanche se il governo di Netanyahu sarebbe disposto a dare l'approvazione finale all'intesa. I partiti della coalizione di estrema destra hanno criticato la proposta come una resa alle richieste del gruppo terroristico e come un abbandono dell'obiettivo iniziale della guerra, ovvero di eliminare tutte le capacità di Hamas a Gaza, e i membri del gabinetto hanno minacciato di far cadere il governo.

Continuano pure le schermaglie diplomatiche.

La Turchia ha bloccato ogni scambio commerciale con Israele e il ministro degli esteri Israel Katz in risposta ha definito quello «di Erdogan un comportamento da dittatore». L'Onu intanto ha fatto trapelare cifre inquietanti: la ricostruzione della Striscia di Gaza costerà tra i 30 e i 40 miliardi di dollari.

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