I cinque paletti al pacifismo militante per evitare che i cortei diventino un autogol

Solo i pazzi non vogliono la pace nel cuore dell'Europa, ma talvolta le bandiere arcobaleno sventolando a prescindere, in nome di uno stop al conflitto senza rendersi conto che in determinati frangenti la guerra è necessaria

I cinque paletti al pacifismo militante per evitare che i cortei diventino un autogol

Solo i pazzi non vogliono la pace nel cuore dell'Europa, ma talvolta le bandiere arcobaleno sventolando a prescindere, in nome di uno stop al conflitto senza rendersi conto che in determinati frangenti, come l'invasione dell'Ucraina, la guerra è obbligata o necessaria.
Ben vengano le manifestazioni, come quelle di oggi, che invocano la pace, a patto che non si trasformino da «Putin go home» a «Yankee go home» oppure «Zelesnky kaputt». Soprattutto a Roma, alcune delle sigle degli organizzatori, hanno già dimostrato di essere sfacciatamente antiamericane e pubblicamente poco critiche nei confronti della Russia. Per questo vanno elencati dei paletti che, se fossero valicati, trasformerebbero il giusto desiderio di pace in una scelta propagandistica e ideologica. Il primo paletto è che la manifestazione non diventi una riedizione attuale dei cortei contro gli euromissili, del pacifismo a senso unico, infiltrati allora dal Kgb, il servizio segreto sovietico dove il nuovo zar, Vladimir Putin, si è fatto le ossa. In recenti manifestazioni italiane per la pace in Ucraina sono saltati fuori striscioni «I love Gazprom», il colosso energetico di Mosca che ci tiene per il collo sul gas. Esempi di stupidità se l'obiettivo è dire no alla guerra.
Il secondo paletto è che neppure in nome della pace possiamo girarci dall'altra parte, ma dobbiamo fermare Putin e la sua invasione, che ricorda quelle sovietiche a Budapest e Praga lo scorso secolo. Guarda caso non sempre e subito condannate dall'allora Pci, antenato del Pd di oggi, che sfilerà in piazza pur essendo stato il partito più netto nell'appoggio all'Ucraina, senza se, senza ma e senza alcuna prospettiva su come uscire dalla guerra.
A onor del vero, se Putin va fermato, bisogna far capire in maniera forte e chiara agli americani, che il mondo libero d'Europa non può reggere anni di un conflitto devastante nel cuore del continente per logorare l'armata russa. Soprattutto in termini di danni «collaterali», economici, energetici e tanto altro. Il paletto, che i pacifisti duri e puri neppure prendono in considerazione, è mantenere le forniture belliche e le sanzioni anche se per noi sono un boomerang. Senza questi strumenti di pressione non riusciremo mai a convincere i due nemici a trattare una via d'uscita.
Per vedere la luce in fondo al tunnel c'è bisogno di una mediazione come ripete da tempo il Papa ampiamente ripreso dai pacifisti. Però non basta il potere spirituale e simbolico del Santo Padre. L'Europa, una volta tanto dovrebbe riscoprirsi con la E maiuscola, lasciando da parte le divisioni evitando di abdicare al «sultano» Erdogan per mettere d'accordo russi e ucraini. Un mediatore forte, come abbiamo già scritto, potrebbe essere Mario Draghi. Chissà se i pacifisti, che lo bollano come un dottor Stranamore del conflitto, ingoierebbero il rospo tornando con i piedi per terra.
Il paletto più ostico non solo per i pacifisti, ma per l'opinione pubblica che in gran parte non lo ama, è capire che non dobbiamo e non possiamo buttare a mare Zelensky.

Al contrario bisogna convincere il presidente ucraino e il suo popolo a concedere una possibilità al negoziato. Al momento più opportuno per arrivare a una pace che potrebbe risultare dolorosa, ma dovrà essere comunque giusta.

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