Chi temeva che i rapporti commerciali tra Italia e Cina sarebbero deragliati con l'addio alla via della Seta, ora deve ricredersi. La sensazione di Barbara Cimmino, vice presidente per l'export e l'attrazione degli investimenti di Confindustria presente al Business Forum Italia-Cina a cui ha partecipato anche la premier Giorgia Meloni, sono state decisamente positive: «Ci è stata riservata una straordinaria accoglienza», racconta a Il Giornale, «la visita è stata organizzata con grande cura, con un'ospitalità piena e senza alcuna freddezza. La presidente Meloni è stata bravissima e noi torniamo a casa soddisfatti». Nulla è perduto, quindi. Quanto a risultati concreti, «il governo cinese ragiona per prospettive di lungo periodo. Nel discorso del primo ministro cinese più volte è stata sottolineata la vicinanza valoriale e culturale dei due Paesi. In Cina si comincia da qui». Prevale quindi la real politik, sebbene le aperture siano state su diversi fronti. Ma non poteva essere diversamente, visto che l'Italia nel 2023 ha esportato 19,2 miliardi di merci verso il Dragone e la Cina ha venduto nel nostro Paese prodotti per 47,6 miliardi. Il tema, trattato ieri nello speciale evento organizzato per Confindustria e Camera di Commercio dedicato agli investimenti italiani in Cina, è di sfruttare un potenziale di export inespresso e riequilibrare la bilancia commerciale: per il Centro studi di Confindustria ci sarebbe spazio per esportare subito ulteriori 2,4 miliardi di beni di consumo e 2 miliardi in più di beni strumentali. «A oggi, purtroppo, stiamo registrando un trend negativo nei primi cinque mesi del 2024. D'altro canto, la Cina sta vivendo un rallentamento dei consumi interni, così come lo osserviamo in Italia e nella Ue», spiega ancora Cimmino. Il rischio è che, a causa di tensioni geopolitiche e commerciali, i rapporti tra i Paesi possano risentirne: «Il mio punto di vista è semplice: se loro vedessero una riduzione della domanda americana, dove il mercato vanta i maggiori consumi, allora è logico che la Cina avrebbe tutto l'interesse a guardare all'Europa, un mercato da 450 milioni di abitanti con un'elevata capacità di spesa». Da qui si aprono praterie per l'Italia, che ha più obiettivi da raggiungere come quello di portare un altro produttore di auto nel Paese. «Il discorso della presidente Meloni ha mostrato un'apertura su questo tema, anche se non sono state precisate eventuali regole d'ingaggio come l'obbligo di acquistare una parte delle componenti dalla filiera italiana, cosa che non dispiacerebbe di certo alle nostre aziende di componentistica auto». Non si è toccata, invece, la questione dazi sull'auto elettrica, indigesta ai vertici di Pechino: «Il motivo è che la misura della Ue ha tempo fino a novembre per essere rivista, ci sarà modo per riparlarne e fare ragionamenti. Noi, come Confindustria, siamo per un mercato libero».
C'è poi il tema degli investimenti: 15,5 miliardi quelli delle imprese italiane, appena 2,3 miliardi (dato del 2022) quelli cinesi in Italia.
Che fare per migliorare? «Gli investitori cinesi incontrano gli stessi problemi degli altri, come ha detto il nostro presidente Orsini le questioni centrali sono l'elevato costo dell'energia e la certezza del diritto». Ci sono tuttavia richieste anche per le aziende tricolori presenti in Cina: «Quello che serve è soprattutto la parità di trattamento rispetto alle regole in un'ottica di equità e reciprocità».
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