Le concessioni idroelettriche devono restare una prerogativa delle Regioni. È quanto ribadito in una lettera inviata lo scorso 17 novembre dai governatori del Nord e da quello dell'Umbria, Donatella Tesei. ai ministri dell'Ambiente Pichetto Fratin, delle Infrastrutture Salvini, del Pnrr, Fitto e dell'Economia Giorgetti relativamente alla bozza di decreto Energia in procinto di essere approvata dal Consiglio dei ministri. Le sette Regioni (Lombardia, Piemonte, Val d'Aosta, Trentino, Alto Aldige, Veneto e Umbria) rappresentano l'80% della produzione idroelettrica in Italia, che con i suoi 46 Terawattora/anno costituisce il 41% dell'energia green in Italia, hanno scritto ai ministri sollecitandoli a non cedere alle pressioni della Commissione europea. Il decreto, infatti, fissa una nuova procedura di riassegnazione delle concessioni. Regioni e province autonome possono stipulare con i concessionari uscenti o scaduti nuovi contratti di concessione (successivamente alla presentazione di una proposta tecnico-economica) o possono costituire società miste pubblico-privato con le utility uscenti per tutelare l'interesse pubblico.
Secondo i governatori Fontana (in foto), Cirio, Kompatscher, Fugatti, Zaia, Testolin e Tesei, le previsioni della bozza del dl Energia non rappresentano «una proroga delle attuali concessioni né tantomeno un rinnovo automatico» in quanto si prevede «una nuova assegnazione di concessione avente ad oggetto non solo l'uso dell'acqua ma anche di beni nel frattempo passati in proprietà pubblica, a condizioni diverse», basate sulla verifica delle proposte finanziarie presentate dagli operatori uscenti «alle normali condizioni di mercato». In buona sostanza, il decreto non solo sana definitivamente una procedura di infrazione comunitaria del 2011, ma si attiene agli «impegni comunitari Pnrr», che prevedono una limitazione degli affidamenti diretti, «eliminando le previsioni di proroga o di rinnovo automatico».
I governatori invitano l'esecutivo Meloni a tenere duro. Non sarà facile perché il dl prevede una durata delle concessioni tra venti anni e quarant'anni (incrementabile fino a un massimo di dieci anni), circostanza su cui l'Ue obietta.
Il paradosso è che in Austria il sistema di permessi prevede durate fino a 90 anni, in Portogallo la scadenza ordinaria è 35 anni (estensibile fino a 70 anni), in Spagna l'asticella è di 75 anni per tutte le concessioni, mentre in Francia la durata delle grandi derivazioni è compresa tra 30 e 40 anni. L'Italia, pertanto, rischia di essere l'unica a pagare.
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