Torna a casa, Landini: nel Pd a guida Schlein la speranza di riacchiappare il simpatico (e assai maturo) cucciolone Cgil è in cima alla lista dei sogni.
Ricordate la «cinghia di trasmissione» del Pci buonanima? Ora da «trasmettere» c'è molto di meno, tanto che lo stesso Maurizio Landini, in un inedito attacco di umiltà, ha ammesso che la «crisi di rappresentanza» - arma che ha sempre brandito contro i partiti per sostenere che lui contava più di loro, e che con lui i governi dovevano vedersela, altro che col Parlamento sordo e grigio - investe in pieno anche il sindacato. Del resto, su cinque milioni di iscritti Cgil, solo un milione e mezzo ha effettivamente partecipato, votando, al congresso: molti meno, in percentuale, di quelli che vanno a votare alle Politiche. Ma per il Pd tutto fa brodo, e comunque l'obiettivo della nuova segretaria è di tornare ad essere l'interlocutore politico favorito di Corso Italia, dopo l'adulterio con i grillini. E infatti bastava vedere come si agitava giovedì, in quel di Rimini, l'ex premier Giuseppe Conte (nel tondo), per intuire che la sbandata di Landini volge al termine, e che l'attrazione tra il capo Cgil (che continua ad immaginarsi come deus ex machina della Vera Sinistra di questo paese) e l'ex premier non è più così ardente come nei primi, eccitanti mesi. Conte si è presentato a Rimini con in tasca la fotocopia della proposta sulla riduzione di orario a parità di salario appena depositata in Parlamento, e copiata pari pari dalla relazione del segretario Cgil; ha passato ore a girare per la platea del congresso sindacale facendosi selfie con chiunque si mostrasse interessato; ha preso sottobraccio Landini dietro al palco per rimarcare la confidenza affettuosa. Stava per ripartire alla volta di Roma quando si è accorto che Elly Schlein - finito il talk show dei capipartito del centrosinistra - aveva deciso di restare per ascoltare devotamente la ministra del Lavoro spagnola (e comunista) Yolanda Diaz, ospite d'onore Cgil. Dunque, previo selfie con Yolanda, è rimasto pure lui. Ma anche il Fatto Quotidiano, ieri, notava che al povero Giuseppi ora tocca «marcare stretto» Elly, «perfino fisicamente», per non perdere l'autobus.
La rottura politica tra Pd e Cgil si è definitivamente consumata ai tempi di Matteo Renzi e della sua «disintermediazione»: il primo leader dem a sottrarsi platelamente alla tutela sindacale. Il Jobs Act è diventato il totem negativo da abbattere, e non è un caso che Elly Schlein abbia fatto tutta la sua campagna congressuale contro quella riforma liberale del mercato del lavoro, additandola a simbolo di ogni male (nonostante il milione e rotti di posti creati, come rivendica Renzi). E la Cgil la ha ricambiata, mandando i suoi pensionati a votarla alle primarie. Il desiderio di ricucire lo strappo è palese. Ora però la segretaria Pd deve muoversi con cautela per riavvicinarsi: sul tema caldo del salario minimo, bandiera contesa tra Schlein e Conte, le posizioni del sindacato sono molto più fredde di quelle di Pd e M5s, e giovedì non è sfuggito a nessuno che Landini annuiva vigorosamente alle critiche di Carlo Calenda, che avvertiva: «Si rischia di mandare all'aria la contrattazione collettiva».
Ma sulla riconciliazione tra Pd e Cgil pesa anche un altro fattore: il dialogo che Landini cerca con il governo.
L'invito a Giorgia Meloni (prima premier di centrodestra a essere chiamata a parlare al congresso, l'ultimo fu Romano Prodi nel 1997) ha creato molti malumori tra i dem. Landini, che sbarrò la strada al «patto sociale» proposto da Confindustria durante il governo Draghi, ora vuole portare a casa un accordo con questo esecutivo. E per il Pd sarebbe dura da digerire.
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