«La disperazione dei dittatori». L'ultimo titolo di copertina della rivista Foreign Affairs parte da un punto di vista preciso: la guerra in Ucraina ha portato alla luce il vero e più attuale discrimine geopolitico globale. Da un parte i Paesi a ordinamento liberale, dall'altra le autocrazie, Russia, Cina, Corea del Nord, Iran e poco altro.
E se le democrazie liberali avvertono il conflitto come una tragedia umanitaria e come un doloroso ostacolo alla crescita economica, per le dittature è peggio. Scontata la disattenzione per i costi umani e sociali, alcune tra loro giocano in questa partita niente di meno che la loro sopravvivenza. È questa la disperazione a cui ha accennato nei giorni scorsi anche il segretario di Stato americano Anthony Blinken, parlando dell'incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il coreano Kim Yong Un: un vertice «tra i leader senza speranza dei due stati paria del mondo».
Così il summit in programma dalle parti di Vladivostok sembra essere il suggello definitivo al saldarsi di un nuovo e più pericoloso asse del male, quello che da mesi si sta tessendo tra Mosca, Pyongyang e Pechino. Se ne era avuta avvisaglia nel luglio scorso, con i festeggiamenti tenuti proprio a Pyongyang per la fine della guerra di Corea degli anni Cinquanta.
In una città addobbata a festa, piena di enormi ritratti di Vladimir Putin («sembra che il festeggiato sia lui», aveva scritto un commentatore), gli invitati d'onore erano il ministro della difesa russo Sergej Shoigu e un autorevole rappresentante del Politburo cinese, Li Hongzhong.
I tre si erano fatti fotografare insieme mentre da un palco assistevano soddisfatti a una delle solite colossali parate militari tanto apprezzate dai regimi dittatoriali. Allora e nei mesi successivi le dichiarazioni di amicizia e di sostegno tra Russia e Corea si sono sprecate. Era ed è il tentativo di far rivivere un rapporto che negli anni della prima guerra fredda si era fatto strettissimo e poi, quando l'Unione Sovietica è diventata Russia, ha finito per allentarsi progressivamente. Lo scarso interscambio commerciale tra la Corea del Nord e il mondo si svolge quasi esclusivamente con la Cina, almeno fino all'anno scorso i commerci con la Russia erano quasi irrilevanti.
Ora però le cose stanno cambiando. Qualche analista ha fatto notare che la guerra in Ucraina è combattuta per motivi ottocenteschi (questioni di puro possesso territoriale) con modalità novecentesche (carri armati, trincee, fortificazioni) e sistemi di comunicazione da anni Duemila e oltre (droni, onnipresenti satelliti e videocamere).
Da questo punto di vista le forze armate nord-coreane sono per i russi l'ideale. Per dimensioni figurano come le quarte al mondo (dopo Usa, Cina e India), per efficacia non sono considerate nemmeno nella classifica delle prime venti, proprio perchè sono rimaste al secolo scorso. E in più hanno un'impostazione che risale totalmente alla vecchia Unione Sovietica.
In linea teorica e pratica un'utilissima fonte di forniture per il traballante esercito di Mosca: pezzi di ricambio per gli stagionati tank T-54 e T-62, proiettili di artiglieria, obici. Allo stesso tempo anche Kim Jong Un ha un paio di bisogni urgenti da soddisfare. Uno è quello alimentare, visto che il Paese non è mai riuscito a raggiungere la piena autosufficienza. Più importanti ancora, almeno dal suo punto di vista, sono le forniture nel campo delle tecnologie missilistiche e nucleari.
Poche settimane fa la Corea del Nord ha presentato in pompa magna il suo primo sommergibile in grado di lanciare missili atomici. Secondo osservatori come l'Asan Institute di Seul, un bluff o poco più: si tratta del riadattamento di vecchi sommergibili russi della classe Romeo; per ottenere 10 tubi di lancio è stata sacrificata nasvigabilità sottomarina e manovrabilità; la propulsione è diesel e non atomica e questo rende necessarie periodiche riemersioni che rendono il sommergibile visibile e vulnerabile. Il pericolo aggiuntivo per gli Stati Uniti è praticamente nullo, mentre in prima linea restano Taiwan E Giappone.
In tutti i casi Kim ha bisogno di una mano per rendere meno rodomontesche le sue vantate capacità militari. Qualcosa in realtà si è già messo in moto. Negli ultimi mesi i satelliti spia occidentali hanno notato un progressivo intensificarsi del traffico sulle linee ferroviarie lungo il breve tratto di confine terrestre (solo 17 chilometri)che collega i due Paesi. Le stesse linee su cui è passato il favoloso treno blindato usato dalla dittatore coreano. In realtà pare che quando Kim si muove i convogli siano tre: il primo, carico di agenti speciali, si occupa di verificare che linee e stazioni non presentino problemi di sicurezza, il secondo è quello del dittatore, il terzo è carico di provvisto e delle dotazioni (dai vestiti ai mobili) che il leader coreano porta sempre con sè.
Folklore a parte sullo sfondo del nuovo asse Mosca-Pyongyang c'è anche l'ombra di Pechino. Secondo la gran parte degli analisti per Xi e i suoi i veri problemi sul tappeto hanno poco o nulla a che fare con la questione ucraina. A pesare sul futuro della Cina è l'andamento dell'economia, il sovraindebitamento di banche e imprese, lo sclerotizzarsi delle strutture di potere proprio di un sistema autocratico, l'involuzione demografica. Il sistema economico cinese è una bicicletta che per stare in piedi deve continuare a muoversi a velocità sostenuta. Il rischio in agguato è una stagnazione di tipo giapponese che la cupola del potere comunista teme di non riuscire a gestire.
Allo stesso tempo Pechino è impegnata in un confronto con gli Stati Uniti complicato da una caratteristica: nella nuova guerra fredda i due contendenti sono allo stesso tempo rivali geopolitici e partner commerciali, l'economia dell'uno è strettamente legata a quella dell'altro.
Questo non accadeva nell'ormai lontano confronto Usa-Urss, in cui la separatezza dei sistemi economici era fonte di stabilità (o almeno non contribuiva a creare ulteriori tensioni). In questo caso per entrambe le parti in campo le vulnerabilità economiche si sommano a quelle politiche.
Nessuno degli interessati può permettersi un passo indietro: è bastato che Pechino vietasse ai sui dipendenti di usare l'Iphone per far crollare la Apple, uno dei colossi della Borsa americana. Anche per questo un asse Pyongyang-Mosca ha la benedizione di Pechino: è un sistema in più per tenere sotto scacco l'avversario a stelle e strisce.
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