Il vino italiano è oggi un calice di cristallo tra i vasi di ferro dell'emergenza Covid che sta evaporando e della guerra in Ucraina che chissà per quanto ci terrà in ansia. E l'atmosfera che si respira all'edizione numero 54 del Vinitaly che dopo due anni «astemi» torna alla Fiera di Verona appare sospesa tra il sollievo di ritrovarsi tutti quanti con un calice in mano a parlare d'affari e il timore che niente torni come prima.
Non torneranno certo al livello del 2019 i consumi. Secondo lo studio «Stress test: il vino italiano alla prova congiunturale» qui presentato da Banco Bpm e Prometeia, la guerra ha già costretto gli esperti a una revisione al ribasso di quasi 3 punti percentuali nel biennio 2022-2023 per la crescita della domanda mondiale di vino. Un downgrade frutto non solo dello sbianchettamento dei mercati dei due Paesi coinvolti (solo l'Italia nel 2021 ha esportato in Russia e Ucraina per 340 milioni di euro) ma soprattutto della difficoltà negli approvvigionamenti in particolare di energia, di materiali per l'imballaggio e dei fertilizzanti, il cui conseguente aumento dei prezzi rischia di far pagare un pedaggio elevato al settore. Un altro studio, curato da Coldiretti, fa due conti: una bottiglia di vetro costa più del 30 per cento in più rispetto allo scorso anno, i tappi il 20 per cento se di sughero e addirittura il 40 se di altri materiali, le gabbiette degli spumanti il 20 per cento in più, mentre per le etichette e per i cartoni di imballaggio si registrano rispettivamente rincari del 35 e del 45 per cento. E poi ci sono i macchinari, soprattutto quelli in acciaio, i trasporti su gomma, dei container e dei noli marittimi. Insomma dalla fine di febbraio i costi per il vino italiano sono aumentati del 35 per cento, ciò che si scaricherà inevitabilmente sul consumatori. «L'aumento dei costi di produzione legati alla guerra tra Russia e Ucraina - fa notare il ministro per le Politiche Agricole Stefano Patuanelli, ieri visto per gli stand veronesi - fa uscire allo scoperto la fragilità delle filiere lunghe che si nascondono dietro una bottiglia di vino, rendendo ancor più indispensabile l'allargamento dei Paesi di riferimento per le esportazioni e la difesa in Europa della qualità italiana».
Secondo Coldiretti le vendite sono diminuite nel 2022 rispetto all'anno precedente per il 55 per cento delle cantine italiane, mentre per il 42 per cento sono rimaste inalterate e solo per il 3 per cento sono aumentate. Ma non tutto è drammatico, dentro il calice italiano: nonostante tutto il fatturato delle imprese si manterrà in crescita sia nell'anno in corso (+2,5 per cento in termini di volumi) sia nel 2023 (+1,6).
Negli ultimi anni il made in Italy enologico è stato sostenuto dall'export. Ma forse è il caso di puntare più forte sul mercato interno, pure in grande sofferenza. Segnali di crescita arrivano da uno ricerca Iri-Vinitaly, presentata a Verona, sul consumo del vino nella Gdo: il consumatore sceglie sempre meglio e pare disposto a spendere sempre di più. Una bottiglia di un vino a denominazione d'origine sullo scaffale di un supermercato costa ormai in media 5,55 euro (+4,1 per cento rispetto al 2020).
Il vino nella grande distribuzione vale ormai 1 miliardo e mezzo di euro e i vini che crescono di più sono il Lugana (7,42 euro), l'Amarone (17,68), il Valpolicella Ripasso (7,22), il Nebbiolo (6,70), il Sagrantino (9,35), il Brunello di Montalcino (20,44) e il Lagrein (7,18). Sarà il carrello a salvare il vigneto Italia?
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