Lesly, la baby-guerriera pensa ai fratelli. Grazie alla sua sapienza ancestrale

La 13enne si occupava di loro già a Villavicencio. E in Amazzonia ha trovato il cibo e schivato i pericoli (con l'aiuto dei riti indigeni)

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Si chiamava Operaciòn Esperanza, e per una volta nessuno è morto disperato. I quattro bambini che sono sopravvissuti per trentanove giorni nella foresta tra Guaviare e Caquetà, al margine dell'Amazzonia, lo hanno fatto perché la più grande, si fa per dire, la tredicenne Lesly Jacobombaire Mucutuy, di 13 anni, si è presa cura dei fratellini - Soleiny, di anni nove, Tien Noriel, di anni quattro, e Cristin Neriman, che ha compiuto un anno il 26 maggio, e quel giorno il Comando delle forze armate aveva invitato l'intera Colombia a festeggiare il compleanno con una preghiera - come faceva già nella casa di Villavicencio, quando la madre, morta poi nell'incidente aereo, doveva lavorare e lei preparava farinitos e casabitos.

Quindi la piccola guerriera Lesly ha fatto da mamma ai suoi fratellini, senza perdersi d'animo. Ad aiutarla, e su questo tutti i media colombiani insistono molto, lo spirito indigeno che certo aiuta quando sei in una delle foreste più dense e vergini del Sudamerica. «Le donne indigene sono molto bellicose», taglia corto Fàtima Valencia, la nonna materna dei quattro, senza nascondere il suo orgoglio indio.

I quattro piccoli Robinson Crusoe camminavano incessantemente per la foresta, povera di alimenti ma ricca di pericoli, di terreni instabili, di pioggia incessante e di fango cattivo, di scorpioni, di ragni, di serpenti, di felini per i quali i quattro ragazzini sarebbero potuti essere facile preda. Indossavano camicie leggere, jeans rotti, ai piedi niente scarpe e bende improvvisate per coprire le ferite e le vesciche, Ma sono rimasti aggrappati alle loro piccole vite, camminando incessantemente, nutrendosi di quel poco che trovavano, ed era Lesly a distinguere quello che li avrebbe nutriti da quello che li avrebbe ammazzati. Nel frattempo disseminavano la loro via crucis di indizi: pannolini, asciugamani, un paio di forbici, delle scarpe da tennis, il tappo di una bottiglia. Mettevano a frutto, soprattutto i più grandi, la loro «conoscenza ancestrale» trasmessa dalla nonna, che come dice John Moreno, leader indigeno guanano del Vaupés, «è sapiente nella protezione indigena di Araracuara». «A salvare i quattro bambini sono stati i messaggi della propria comunità e, naturalmente, le conoscenze che hanno fornito loro in precedenza», sottolinea Sandra Vilardy, viceministra colombiana della politica e della normalizzazione ambientale.

Gli indigeni hanno dato un grande aiuto alla caccia dei quattro ragazzini, in nome della storica collaborazione con le forze dell'ordine. Ogni sera, alla fine dell'ennesima giornata di ricerche infruttuose, si davano a celebrare un rito propiziatorio. I nativi masticavano mambe, la polvere delle foglie di coca, e bruciavano peperoncini, allo scopo di sviluppare quell'energia capace di mettere in fuga le tigri, i tapiri, gli altri animali potenzialmente pericolosi per i quattro pellegrini della giungla. Uno degli indigeni inoltre si metteva in comunicazione con un parente morto.

Secondo le credenze della comunità amazzonica Yurapari ogni territorio è protetto da spiriti che si prendono cura dell'area. «I bambini sono in buone condizioni perché queste forze si sono prese cura di loro», spiega uno scout indigeno. Che sia vero o no in fondo a chi importa?

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