L'Europa si divide sui 40 miliardi a Kiev. No di Fico e Orbán, dubbi Italia e Francia

Piano Kallas per gli aiuti militari: "Non ci si può fidare di Mosca". Ma non c'è unità

L'Europa si divide sui 40 miliardi a Kiev. No di Fico e Orbán, dubbi Italia e Francia
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L'Ue non lascia sola Kiev; ma non raddoppia gli aiuti militari ai gialloblù come chiesto agli Stati dall'Alto rappresentante per la Politica estera, Kallas. Se il piano ReArm Europe ha avuto via libera dai 27 leader e pure dall'Eurocamera, l'idea di mobilitare fino a 40 miliardi di euro in armamenti in una fase negoziale ieri si è ingolfata al Consiglio Esteri di Bruxelles: molti capidiplomazia hanno invocato cautela, visti i passi fatti dall'Amministrazione Usa per giungere a un piano di pace. La ex premier estone si è invece convinta che al Cremlino «non vogliono la pace». E alla fine ha gettato l'amo verso Paesi «volenterosi», anche extra-Ue, ipotizzando partecipazioni facoltative per sostenere militarmente Kiev più di quanto già non si faccia.

Dubbi sul suo piano espressi ieri pubblicamente anche da Roma e Parigi, oltre al secco no di Ungheria e Slovacchia. Gli sherpa della maggioranza dei 27 membri considerano «altri 20 miliardi» per jet, sistemi di difesa aerea, droni, missili e munizioni per rimpolpare l'artiglieria difensiva di Kiev uno sprint di troppo in questa fase. Per ora, il piano va in soffitta. «Non permetteremo che il denaro dei contribuenti ungheresi sia usato per finanziare le forniture di armi all'Ucraina», la linea di Budapest. E anche altri Paesi, Italia inclusa, hanno frenato cercando di dar corpo anzitutto agli sforzi diplomatici.

Il ministro Tajani vuole «approfondire» la proposta Kallas: «Aspettiamo la telefonata tra Trump e Putin per capire se ci saranno passi avanti verso il cessate il fuoco e una tregua, intanto dobbiamo raggiungere il 2% della spesa Nato e attuare il piano di sicurezza della presidente von der Leyen, che abbiamo già approvato, le spese sono molte e ogni decisione va ragionata». L'Europa appare però sempre più divisa. C'è chi accelera sull'ipotesi di dispiegare truppe a garanzia di una pace ancora tutta da inquadrare; giovedì i vertici militari delle nazioni aderenti alla coalizione dei «volenterosi» si vedranno di nuovo in videoconferenza con Londra; già più di 30 i Paesi, con il Regno Unito disposto, secondo il Times, a inviare peacekeeper senza limiti di tempo per la loro permanenza. Un piano da 30mila soldati. E chi invece sta già affrontando sforzi inediti per spendere di più in difesa, scansandosi dal gruppo dei boots on the ground.

Il premier spagnolo Sánchez ha già sfidato il pressing antimilitarista delle sinistre alleate confermando l'obiettivo portare la Spagna al 2% del Pil in difesa entro il 2029. Ma senza tagli a investimenti nelle politiche sociali. «Continueremo a chiedere dalla Russia impegni chiari» per una «pace duratura», ha detto ieri il presidente francese Macron dopo l'incontro col premier canadese Carney. Un freno a mano tirato? O l'ennesima dichiarazione difficile da decrittare? Gli eventi corrono. E pure Parigi ora sembra più aperta a facilitare quel dialogo con gli Usa già ampiamente invocato da Palazzo Chigi e Farnesina. «Zelensky ha avuto il coraggio di accettare la proposta americana di un cessate il fuoco di 30 giorni, tocca alla Russia dimostrare che vuole veramente la pace», ha chiarito Macron dopo aver parlato prima con Trump e nelle ultime ore con il presidente ucraino. Berlino oggi si prepara invece a «una decisione storica», secondo la ministra degli Esteri Baerbock: via al freno al debito con modifica costituzionale. «Stanziamo altri 3 miliardi per il sostegno all'Ucraina nel 2025, così la Germania continuerà a mettere a disposizione 7 miliardi, come lo scorso anno». Restano i Paesi del Nord e i Baltici, a dire sì al piano Kallas. Per il ministro danese, Rasmussen, «l'idea di considerare il reddito nazionale lordo come una sorta di chiave per l'assegnazione del sostegno all'Ucraina è brillante, ora non c'è consenso, ma non dovremmo arrenderci».

Kiev riceverà però 3,5 miliardi nell'ambito dell'Ukraine Facility. L'obiettivo, spiegano i 27 ministri, è aiutare la stabilità macrofinanziaria e la ripresa, la ricostruzione e la modernizzazione dell'Ucraina. Non l'esercito.

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