Un liberale anomalo, non replicabile in Italia

Trump è Trump, un intruso tra i repubblicani, il nemico numero uno dei democratici, una personalità strabordante che non può ridursi all'etichetta standard di un conservatore

Un liberale anomalo, non replicabile in Italia
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Nel mercato elettorale italiano, un ipotetico partito trumpiano finirebbe a languire con percentuali irrisorie. Donald Trump rimane un'anomalia tra le grandi famiglie politiche mondiali per la sua peculiare unicità. Trump è Trump, un intruso tra i repubblicani, il nemico numero uno dei democratici, una personalità strabordante che non può ridursi all'etichetta standard di un conservatore. Dalle nostre parti piace ai leghisti che lo vedono come un bulldozer che spiana il campo accidentato del politicamente corretto, quasi l'ispiratore di un Vannacci che arriva a spararle grosse pur di differenziarsi dal vituperato pensiero unico. È ancora amato da molti grillini che, ai tempi della prima presidenza alla Casa Bianca, lo sentivano vicino come un outsider della società civile capace di rovesciare l'establishment. Non perdiamo neppure il tempo di accostare il tycoon alla sinistra che, dalle componenti moderate a quelle più estreme, lo considera una sorta di pericoloso pazzoide.

Nella percezione di un elettore italiano moderato, il 47esimo presidente degli Stati Uniti resta comunque un bastione su valori condivisi come la difesa dei confini e dei posti di lavoro, un argine allo snobismo di quelle élite minoritarie con il vizietto di considerare cittadini di serie B chiunque non inserisca la questione Lgbtq+ o l'utero in affitto al primo posto nella lista delle urgenze da affrontare. È il cowboy rude che non si ferma davanti a nulla, neppure ai proiettili sparatigli in testa. Il milionario che trova la forza di mandare a fare i conferenzieri di lusso i Biden e le Harris, ormai convinti di monopolizzare la Casa Bianca per una generazione.

Donald Trump è così americano che nessun altro Paese potrebbe importarne la formula. Così leader di se stesso da risultare estraneo a Reagan o alla Thatcher che vinsero la Guerra fredda ed esportarono su scala internazionale la stagione dorata dell'economia liberale.

Ecco, la parola magica: liberale. Trump non lo è, per vocazione. Magari diventerà il capostipite di una nuova scuola di una destra populista democratica, ma non potrà mai inserirsi nel filone di De Gasperi e De Gaulle. Non è un giudizio di merito, soprattutto dinanzi a una figura sorprendente che ha vinto due volte le elezioni Usa a otto anni distanza e in età avanzata.

Trump si è avvicinato alla cosa pubblica a quasi settant'anni senza aver neppure fatto il consigliere di contea. Non arrivava dalle scuole di partito, non aveva mai partecipato a campagne elettorali. E la sua visione solitaria da magnate Usa non l'aveva mai posto in contatto con le sensibilità politiche e sociali dell'Europa, un mondo del tutto differente rispetto alla società statunitense.

Nel suo background non ci sono le radici cristiane, il contrasto a partiti comunisti in tripla cifra, il contatto con movimenti federalisti e di destra-destra convertiti a forze di governo.

Altri quattro anni di Trump costituiranno un saldo punto di riferimento per il governo italiano. Un alleato storico, un amico del Paese, ma non un modello da copiare.

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