"L'Italia non è solo pizza. Ho convinto pure i parigini"

Il patron di Langosteria Enrico Buonocore svela i segreti del successo nella capitale francese: "Non abbiamo concorrenti"

"L'Italia non è solo pizza. Ho convinto pure i parigini"
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Enrico Buonocore è il Bartali della ristorazione italiana. Fa arrabbiare i francesi tutte le sere. Il suo ristorante, Langosteria Paris, spopola per i suoi eccellenti frutti di mare e la sua atmosfera festosa. E il suo gruppo con i suoi sette ristoranti (oltre a quello parigino ce ne sono quattro a Milano, uno a Paraggi e uno a St. Moritz) e un fatturato da 62 milioni è il re della ristorazione italiana e soppianta nei numeri anche la famiglia Cerea (Da Vittorio a Brusaporto), Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo e gli Alajmo tristellati alle Calandre di Rubano. Lui che contrariamente a tutti questi una stella non l'ha mai avuta (ma questo è un problema della Michelin).

Numeri da record, alla faccia della crisi del fine dining. Eppure lei, Buonocore, sembra particolarmente orgoglioso del successo parigino

«Certo, è il ristorante del gruppo che fattura di più, 15 milioni nel 2024».

E poi siete al settimo piano dell'hotel Cheval Blanc del gruppo LMVH, il tempio del lusso parigino

«Il fatto che la stampa italiana non faccia un articolo a nove colonne sul nostro trionfo parigino è una vergogna, posso dirlo?».

Certo che può

«Allora mi lasci dire. Noi italiani abbiamo sempre subito il fascino della Francia, soprattutto a tavola. Nessuno chef italiano blasonato è andato in Francia a far bene, a parte oggi un ragazzo che è il secondo di Yannick Alléno, Martino Ruggeri. La storia di Gualtiero Marchesi e del suo fallimento a place Vendome è nota».

E quindi lei come ha fatto a conquistare Parigi?

«Perché noi non facciamo solo bene da mangiare, noi accogliamo le persone. È per questo che monsieur Arnault ha voluto Langosteria e non, per dire, Ducasse, al settimo piano del suo albergo più bello. Penso che a quel punto qualcuno nel mondo abbia capito che era in atto un cambiamento».

Un cambiamento rispetto a cosa?

«Quando siamo arrivati, la prima cosa che ha dovuto fare è spiegare perché da noi non trovavi la pizza, le lasagne, la parmigiana. Ogni giorno un giornalista francese veniva da noi a dirci: ma voi non siete italiani, di italiano a Parigi c'è La Stresa. Il ristorante italiano famoso a Parigi era quella roba là. I francesi hanno un'idea della nostra gastronomia per cui noi siamo pasta al pomodoro, polpette al sugo e margherita. Quando hanno visto che Langosteria faceva aragoste, scampi, carabineros, gamberi rossi, astice blu, e una pasticceria incredibile in un luogo meraviglioso di Parigi hanno dovuto cambiare idea».

Dice: ma non è folle andare a Parigi portando crostacei e frutti di mare, su cui loro sono imbattibili?

«Imbattibili? Ma se li fanno bollire la mattina e poi li servono freddi la sera. Io sono un cultore della Francia gastronomica, da quando avevo vent'anni ogni fine settimana libero andavo a Parigi, ma non sono molti i posti in cui si mangia una cucina di mare davvero fatta bene. C'è un bistrot stretto, di cui non ricordo il nome, poi la Tour d'Argent. E dopo? La verità è che non abbiamo concorrenza».

Addirittura

«Mi creda. Se oggi lei va a Parigi e vuole mangiare in un posto che ha il nostro posizionamento, il nostro cibo, il nostro atteggiamento, semplicemente non c'è niente. E non le dico che siamo i più bravi. Semplicemente nessuno fa quello che facciamo noi come lo facciamo noi. Anche la Girafe da un punto di vista del touch gustativo è davvero distante da noi. E poi noi abbiamo vinto anche per altri motivi».

Ad esempio?

«Ad esempio, noi teniamo la cucina aperta fino alle 23,30, mi dicevano: impossibile a Parigi! Noi facciamo primo e secondo turno, mi dicevano: impossibile a Parigi, i francesi non aspettano per un tavolo! E invece eccoli là al bar con un drink in mano guardando la Tour Eiffel e Notre Dame aspettando felici».

In termini di fatturato state ottenendo quello che vi aspettavate?

«Il budget che ci avevano dato i manager locali è giusto la metà di quello che noi realizziamo oggi. Ma sappiamo che possiamo fare ancora di più. Però il tema non sono solo i soldi, che semmai sono la conseguenza, il tema è che noi abbiamo rispettato Langosteria e l'abbiamo ricostruita fedelmente a Parigi, dalla cottura della pasta alla presentazione del cibo, dal modello di servizio all'offerta gastronomica».

È stato facile conquistare i parigini?

«Questo no, io sono stato inchiodato per sei mesi al pass della cucina per lo start-up, vedevo questi autoctoni con gli occhi piccoli e incazzati, pronti a

crocifiggerci. Oggi abbiamo il 50 per cento di clientela ripetitiva, e questo è il successo più grande in una città che gastronomicamente resta la più interessante in Europa. E sì che noi abbiamo una fiche da 230-240 euro».

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