Forza Italia, Pd e renziani chiedono le dimissioni del presidente della commissione Esteri del Senato, il grillino Vito Petrocelli (nella foto), dopo il no di quest'ultimo alla risoluzione bipartisan sugli aiuti all'Ucraina: mozione che affida al presidente del Consiglio Mario Draghi un mandato pieno a mettere in campo tutte le iniziative utili a fermare la guerra tra Russia e Ucraina.
Ma il grillino resta al proprio posto: «Il voto contrario di Petrocelli non era per noi una sorpresa. In modo leale lo aveva già annunciato. Per ora non sono previste sanzioni», taglia corto il capogruppo al Senato Mariolina Castellone in un colloquio con l'Agi.
Però nel M5S i malumori contro Petrocelli crescono. Le defezioni a Palazzo Madama sulla risoluzione, che incassa 244 voti favorevoli, sono 16: in 13 presentano altre 4 mozioni mentre tre sono gli astenuti. Si smarca, praticamente, tutta la fronda ex grillina vicina ad Alessandro Di Battista: Luisa Angrisani, Elena Botto, Margherita Corrado, Mattia Crucioli, William De Vecchis, Elena Fattori, Silvana Giannuzzo, Bianca Laura Granato, Elio Lannutti, Cataldo Mininno, Paola Nugnes e Gianluigi Paragone.
Tra gli astenuti spicca il nome Carlo Doria della Lega. Astensione anche per le due ex grilline Barbara Lezzi e Vilma Moronese.
Tra fughe e sospetti filo russi si accendono i fari sulle assenze non giustificate di una quindicina di senatori. Si apre la caccia al parlamentare filo-Putin. Nella maggioranza il gruppo con più assenti ingiustificati è Fi con 8 parlamentari (Barboni, Giammanco, Giro, Mangialavori, Perosino, Schifani, Stabile, Vitali), seguito da M5s con cinque (Coltorti, Girotto, L'abbate, Pesco e Quarto). Assenti non giustificati anche nelle file della Lega (Minasi e Siri), di Iv (Carbone e Marino), nonché delle Autonomie (Laniece) e di Fdi, (Luca Ciriani). In serata però Ciriani e Schifani precisano che «avrebbero votato a favore del documento, ma hanno avuto ritardi nei collegamenti di treni e voli per raggiungere Roma».
La risoluzione, approvata dalla maggioranza e con il voto di Fdi, si poggia su tre punti: invio delle armi a Kiev, accoglienza e misure economiche contro Mosca. È il primo punto (invio delle armi) che apre fratture nei partiti. Spaccatura che si ripropone alla Camera dei deputati: 5 le risoluzioni. Passa il testo di maggioranza su cui c'è l'ok anche di Fdi. Spuntano 25 i voti contrari al punto 3 della risoluzione che contiene la parte relativa all'invio di mezzi militari a Kiev. Tra gli astenuti l'ex presidente della Camera Laura Boldrini del Pd e Stefano Fassina, Erasmo Palazzotto, Maria Flavia Timbro di Leu. Tra i 25 voti contrari 2 deputati di Fi, Matteo Dall'Osso e Veronica Giannone, e 3 della Lega: Vito Comencini, Matteo Micheli e Elena Murelli.
Nel Pd non c'è solo il caso Boldrini. Ma anche l'ex capogruppo dem Graziano Delrio avrebbe fatto pressioni fino all'ultimo per eliminare nella risoluzione il passaggio sull'invio delle armi. In Aula parla il segretario Enrico Letta che detta la linea e tiene compatto il gruppo: «Su invio delle armi decisione più difficile ma in linea con Costituzione». E attacca duro contro Putin: «Quello solo a capotavolo sta scatenando una guerra e tutti ci interroghiamo: è sano di mente? In una democrazia saremmo in grado di bloccarlo». Per Iv parla il capogruppo Maria Elena Boschi che precisa: «Armi scelta non facile ma questo è il tempo della fermezza».
Si smarca la sinistra: «Le armi chiamano armi» avverte Nicola Fratoianni,
annunciando il voto contrario di Si. I pacifisti non si rassegnano: spunta la bandiera arcobaleno a Montecitorio al termine dell'intervento di Yana Ehm di Potere al Popolo. Atto finale di una giornata carica di tensioni.
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