La metamorfosi di Giuseppe Conte

Quando Giuseppe Conte viene indicato dal M5S è poco conosciuto dai mass media, mentre oggi appare come un grande statista. Almeno nell’immaginario collettivo dei suoi sostenitori

La metamorfosi di Giuseppe Conte

Quando Giuseppe Conte viene indicato dal M5S è poco conosciuto dai mass media, mentre oggi appare come un grande statista. Almeno nell’immaginario collettivo dei suoi sostenitori.

La nascita del governo gialloverde

Nel maggio 2018 Conte si presenta come colui che si proponeva di essere “l'avvocato difensore del popolo italiano", ma fallisce il primo tentativo di formare un governo, a causa del ‘niet’ imposto dal Capo dello Stato di nominare l’economista anti-euro Paolo Savona alla guida del dicastero di Via XX Settembre. Il primo passo falso che connota un inizio alquanto incerto per l’uomo chiamato ad essere il notaio e garante del contratto di governo dei gialloverdi. Il giurista pugliese, cresciuto nel paese di Padre Pio, era un neofita della politica che, però, ha sempre goduto di buone sponde oltre Tevere sin dai tempi dell’Università quando alloggiava nella prestigiosa Villa Nazaret. Conte, impacciato al punto di non riuscire nemmeno a trovare gli appunti durante il primo discorso alla Camera, ha saputo farsi strada col passare dei mesi fino a diventare il principale antagonista di Matteo Salvini.

Giuseppe Conte difende Matteo Salvini

La sua disinvoltura nel passare dal guidare un governo Lega-M5S a uno Pd-M5S, non ha eguali. Da portavoce delle istanze gialloverdi come il Reddito di Cittadinanza, Quota 100 e il contrasto all’immigrazione clandestina, Conte nell’arco di due anni ha subìto una vera e propria metamorfosi. Tutti ricordiamo quando, nel dicembre 2019, la maggioranza gialloverde salvò l’ex ministro dell’Interno dal processo per sequestro di persona in merito alla vicenda della ‘nave Diciotti’ e il premier non esitò a difenderlo. “Mi assumo la piena responsabilità politica di quello che è stato fatto. Non sarò certo io a suggerire ai senatori cosa votare, saranno i senatori che giudicheranno la linea politica del governo”, disse Conte qualche settimana prima del voto dell’Aula del Senato. In quell’occasione l’intero esecutivo gialloverde si strinse attorno al vicepremier leghista e passò la linea che la decisione di non far sbarcare i migranti era stata collegiale. Un atteggiamento ben diverso da quello tenuto quando, il 12 febbraio 2020, si è votata l’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini nell’ambito dell’inchiesta Nave Gregoretti. Nel mezzo, come sappiamo, c’era stata una crisi di governo e la nascita di una nuova maggioranza, stavolta di color giallorosso. Ma andiamo con ordine.

Conte rivela il suo vero volto: quello giallorosso

Dopo le Europee del maggio 2019 che vedono trionfare la Lega salviniana col 34%, i nodi e le contraddizioni in seno alla maggioranza che sostiene il Conte 1 vengono al pettine. Il casus belli è il voto contrario dei grillini sulla Tav, ma ad alimentare le divisioni c’era già stato l’ok degli eurodeputati pentastellati al nuovo presidente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen. Quello è il primo segnale che mette in allarme Salvini perché il M5S rompe il fronte anti-europeista e vota, per la prima volta, insieme al Pd. I nervi tra leghisti e grillini si fanno sempre più tesi, ma Conte, il 25 luglio, con un tweet assicura: “Che io possa andare in Parlamento a cercare maggioranze alternative o che io voglia addirittura dare vita a un mio partito è pura fantasia. Non facciamo i peggiori ragionamenti da Prima Repubblica. Restituiamo alla politica la sua nobiltà, la sua nobile vocazione. Voliamo alto”. Sempre nello stesso mese, intervistato dal Fatto Quotidiano, il premier conferma di non essere mai stato un sostenitore della Lega: “Votai l’Ulivo di Prodi, una volta credo i centristi. E il Pd fino al 2013. Ma poi, deluso, mi sono ravveduto. Nel 2018 ho votato M5S”.

L’8 agosto, quando, ormai, a Salvini appare chiaro che gli sarebbe stato pressoché impossibile portare a casa la ‘flat tax’, scoppia la crisi di governo con il famoso discorso dal Papete. Da lì in avanti l’inimicizia, sempre tenuta velatamente nascosta, tra Conte e il capo del Carroccio diventa palese e di dominio pubblico. Il 20 agosto, nell’Aula del Senato, si consuma definitivamente lo strappo tra i due e il premier sfoggia tutto il suo livore nei confronti dell’ex alleato che viene accusato di non aver mostrato “cultura delle regole” e di ambire solo ad ottenere i “pieni poteri”.

'Giuseppi' si paragona a Winston Churchill

Pieni poteri che, invece, sembra aver assunto proprio Conte dopo lo scoppio dell’emergenza coronavirus. Un premier che mantiene il suo ruolo a Palazzo Chigi grazie alla "giravolta" di Matteo Renzi. Lo stesso Renzi che, fino a qualche mese fa, stava soltanto aspettando il momento migliore per scalzare l’attuale premier dal suo ruolo e che sicuramente ci riproverà non appena si entrerà nella cosiddetta ‘fase 2’. Nel frattempo, però, il consenso per ‘Giuseppi’ è cresciuto in queste ultime settimane tanto da fargli assumere l’aplomb di statista. "In questi giorni ho ripensato ad alcune vecchie letture, a Winston Churchill. Questa è la nostra 'ora più buia'. Ma ce la faremo", ha detto il 9 marzo scorso prima di dichiarare il lockdwon nazionale. Ora, mentre le forze di governo ed opposizione si dividono sul Mes, sui coronabond e sugli eurobond, Conte pensa già a farsi un partito tutto suo. O, perlomeno, tutte le sue mosse lasciano pensare che intenda andare verso questa direzione. Da ultimo lo scontro politico ingaggiato con i due leader dell’opposizione, nel corso di una conferenza stampa che avrebbe dovuto avere un carattere prettamente istituzionale.

La crisi perenne del M5S, le misere percentuali di Italia Viva e la mancanza di una guida forte nel Pd devono aver convinto il premier Conte a rompere gli indugi e a cercare di conquistarsi il ruolo di leader del partito o della coalizione antisovranista che sfiderà Salvini e la Meloni.

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