Ora gli affari della cupola rischiano di travolgere Renzi

Il ministro Poletti a tavola con gli indagati, le mani della cupola sulle primarie dem, il business delle coop con immigrati e campi rom. A Renzi non basterà commissariare il Pd romano

Ora gli affari della cupola rischiano di travolgere Renzi

"La paura ancora c’è". Nei capannelli del Transatlantico, lato Pd, l’effetto dell'inchiesta "Mafia Capitale" è devastante. I volti sono tesi, le battute ridotte a zero. "È chiaro che se l’inchiesta prosegue, se si scopre che ci sono ancora altri capitoli, si rischia lo scioglimento del comune - si sfoga un dirigente laziale del Pd ora parlamentare - ma questa è la Capitale, l’effetto sarebbe devastante". Perché dentro c'è davvero di tutto: il ministro del Lavoro Giuliano Poletti fotografato a tavola con Salvatore Buzzi, Gianni Alemanno e altri indagati, le mani della cupola sulle primarie del 2013 tra Matteo Renzi e Gianni Cuperlo, le cooperative rosse che facevano paccate di soldi lucrando sull'accoglienza degli immigrati e sui finanziamenti ai campi rom. Un intreccio tra politica, mala e welfare che ha travolto l'intero impianto del Nazareno.

Il prefetto di Roma ha parlato di una situazione mai vista prima. Ha pure chiesto la scorta per il sindaco Ignazio Marino. Ma, allo stesso tempo, ha cercato di frenare il nervosismo chiedendo un po' di giorni leggere le carte prima di riferire al ministro dell'Interno Angelino Alfano. "Mi pare si tratti più di corruzione che di mafia, e la vera responsabilità è a destra", cercano di minimizzare alcuni piddini. Ma la loro freddezza viene travolta dal sentimento dei più. "È una cosa gravissima, il malaffare era diffuso", fa notare un renziano della prima ora a cui fa eco uno più vicino ad Areadem: "Sono coinvolte quasi tutte le aree del partito, il tema è politico, sono saltati i controlli". Insomma, il problema politico c’è ed è grande come una casa.

Renzi sta cercando di evitare il peggio, ovvero lo scioglimento del Comune di Roma. Sa bene che una decisione così estrema potrebbe colpire il nuovo corso del Pd, la sua segreteria e il suo governo. Così, mentre i quasi quaranta arresti e gli oltre cento indagati erano ancora caldi, il premier si è affrettato a commissariare il Pd romano, spedire Matteo Orfini a fare piazza pulita e siglare una tregua con Marino, indicato da molti come unico punto di forza per una ripartenza, per la sua caratteristica di "nuovo arrivato" nella Capitale. "Noi dobbiamo far capire di essere diversi, anche da quelli che ci hanno preceduto", spiega un deputato vicino al premier. "Matteo ha messo Cantone a capo dell’anticorruzione, ha fatto nuove regole sugli appalti, ha cambiato un’intera classe dirigente - si sfoga un altro - e invece questo fango ora rischia di colpire anche noi: non possiamo permetterlo". "Serve un un nuovo modo di selezione della classe dirigente e attenzione massima alla questione morale", fa notare il renziano Federico Gelli.

A vent'anni dal Modello Roma di Francesco Rutelli e Walter Veltroni il Pd riparte da Marino.

Ma basta cacciare il presidente dell’Aula Giulio Cesare Mirko Coratti, l’assessore capitolino Daniele Ozzimo e il presidente della Commissione regionale cultura Eugenio Patanè per allontanare le ombre dal Pd? Resta, per esempio, il numero monstre dei cento indagati dove figurano numerosi politici locali. Per non parlare di dirigenti e imprenditori di area dem. Un numero che fa tremare il Nazareno.

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