Da due anni vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, avvocato penalista di Padova e accademico di Ca' Foscari, è alle prese con profondi cambiamenti e divisioni all'interno dell'organo con a capo Sergio Mattarella. Il punto della situazione Pinelli lo ha fatto al Mioni Pezzato hotel di Abano Terme, ospite della 14ª «Festa dei lettori de il Giornale», stimolato dalle domande dell'inviato Stefano Zurlo, autore de «Il Nuovo libro nero della magistratura».
«Siamo in presenza di trasformazioni epocali - ha detto Pinelli - che proseguono e sviluppano molti punti già affrontati dalla Riforma Cartabia. D'altro canto, i progetti di riforma presentati dall'attuale governo innalzano il livello delle modifiche al rango della stessa architettura costituzionale. Si propone, infatti, di rompere il tradizionale principio di unità della giurisdizione, attraverso la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri assoggettandoli a differenti organi di governo autonomo, si riforma il sistema elettorale e la composizione di tali organi, si vuole istituire un'Alta Corte per i giudizi disciplinari sui magistrati. L'aspetto dell'intervento riformatore riguardante la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri al centro di aspre polemiche tra politica e magistratura nasce da un'esigenza di riflessione sul ruolo del Pm nel processo accusatorio e alla luce del 111 della Costituzione, affrontato in passato da autorevoli studiosi, anche di area progressista».
Il sistema elettorale?, chiede Zurlo. «Per il senso istituzionale che ho sempre adottato nell'esercizio delle mie funzioni di vicepresidente del Csm risponde Pinelli - mi limito a osservare che molti di questi interventi riformatori, specie quelli sul sistema elettorale degli organi di autogoverno, sono dettati dall'esigenza di dare risposta alle degenerazioni che, nel recente passato, avevano caratterizzato il fenomeno italiano del «correntismo». Lo stesso presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri ebbe modo di dire davanti al capo dello Stato che il processo di snaturamento dei partiti si può osservare in miniatura, seguendo le vicende delle correnti della magistratura, degenerate da aggregazioni formatesi attorno a opzioni ideali in strumenti di distribuzione di posti e di favori».
Pinelli ha poi proseguito: «È necessario che la magistratura torni a occuparsi delle grandi questioni in termini costruttivi. Le degenerazioni, infatti, si sono determinate, talvolta, per una carenza di tensione ideale e di confronto sui grandi quesiti fondamentali. Molti temi culturalmente centrali, che hanno un riflesso sul sistema giustizia ben più dell'architettura costituzionale, dovrebbero invero essere affrontati e risolti: quali siano, nella contemporaneità, gli spazi e le modalità di intervento del diritto nella vita sociale; il ruolo del diritto penale nella società moderna; una teoria su cosa debba essere la pena nel XXI secolo; quali siano i nuovi beni giuridici da tutelare in una moderna e tecnologica liberal/democrazia; quali scelte si impongano sui cosiddetti doppi binari sanzionatori dopo gli interventi delle Corti sovranazionali e della Corte costituzionale. La discussione su questi temi aiuterebbe la magistratura a essere sempre più parte integrante di una società in continuo cambiamento».
Inutile chiedergli cosa pensi del caso Almasri e dell'indagine per favoreggiamento e peculato. Trattandosi di questioni che riguardano i vertici istituzionali, non risponderebbe. Una cosa però la dice: «Chi ha il compito di risolvere i conflitti non può esserne al contempo parte.
C'è il rischio che il referendum sulla separazione delle carriere si trasformi impropriamente in un voto pro o contro la magistratura italiana. Ne va del mantenimento virtuoso del principio di separazione dei poteri dello Stato, in definitiva della salute stessa della nostra democrazia».
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