C' è una coda di polemiche all'indomani della bagarre scatenata dall'intervista al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Tra le voci di protesta spiccava lunedì quella del nostro presidente del Consiglio Mario Draghi che ha bollato le parole di Lavrov su Hitler («era ebreo come Zelensky») «aberranti e oscene».
Mosca ieri ha replicato proprio al commento del nostro premier. «L'iniziativa di condurre l'intervista non è venuta dal ministero degli Esteri russo, ma da giornalisti italiani». Così la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. Per Mosca è inaccettabile, oltretutto, dichiarare, come ha fatto Draghi, che non di un'intervista si è trattato ma di un comizio. «Voglio che i cittadini italiani sappiano la verità - afferma Zakharova, «perché i politici italiani stanno prendendo in giro il loro pubblico. La portavoce del governo russo ricorda che l'iniziativa di condurre l'intervista è stata dei giornalisti italiani.
Nella giornata mondiale della libertà di stampa diventa un caso diplomatico l'intervista a Lavrov che molti, a iniziare appunto da Draghi, hanno considerato un comizio in spregio alle norme deontologiche che governano il lavoro giornalistico. E proprio sul piano deontologico risponde la portavoce russa. «Il comizio è ciò che viene pubblicato su iniziativa del relatore. Come la pubblicità - sottolinea la Zakharova -. L'iniziativa di condurre l'intervista non è venuta dal ministero degli Esteri russo, ma da giornalisti italiani. Riceviamo centinaia di richieste di interviste con Sergej Lavrov, rappresentanti del ministero e delle ambasciate». «I giornalisti italiani sono stati insistenti, dicendo che era importante mostrare tutti i punti di vista. In cosa hanno torto?», si chiede la Zakharova che poi sottolinea che le domande dell'intervistatore non sono state cambiate e che non sono state apportate modifiche alla versione definitiva. Sull'accusa di aver mascherato un comizio con una accomodante intervista replica anche il diretto interessato. Partecipando alla trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, il conduttore di Zona bianca, Giorgio Brindisi, si difende. «Altro che comizio! Ho fatto una ventina di domande - dice ai microfoni di Radio Uno - Dalle risposte di Lavrov è uscita almeno una decina di notizie. Non tocca certo a un giornalista dichiarare guerra alla Russia».
Il mondo della politica continua interrogarsi sull'intervista e sulla coda di polemiche. Matteo Salvini, a esempio, incalzato dai cronisti a Montecitorio ha bollato come «inaccettabili» alcune parole di Lavrov ma è comunque «da folli considerare Mediaset responsabile di quelle stesse parole».
La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, approfitta della giornata mondiale del diritto di cronaca per ringraziare chi «combatte contro il pensiero unico» va letto nella difesa dell'autonomia di chi vuole sentire entrambe le parti di una controversia. «L'Italia è una democrazia - aggiunge il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani -, perciò tutti possono parlare.
Non mi scandalizzo. Non condanno Lavrov o l'idea di averlo intervistato. L'importante è prendere le distanze. Montanelli intervistò Graziano Mesina quando era latitante ma non vuol dire che era dalla parte dei banditi».
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