Schlein tentata da Bruxelles: un seggio come paracadute

I fedelissimi la spingono a una candidatura come piano B per una leadership in crisi. Ma tra i dem vincono gli scettici

Schlein tentata da Bruxelles: un seggio come paracadute
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Prova a concentrarsi sull'Abruzzo ma pensa al Parlamento europeo. È reduce da una scampagnata elettorale tra Tagliacozzo e Avezzano, eppure sogna Bruxelles e Strasburgo. Per Elly Schlein sarebbe un ritorno tra i Palazzi dell'Unione. Un buen retiro dopo il fallimento della sua avventura alla guida del Pd. Un piano B, più che altro. È questa la pazza idea che ha cominciato a circolare tra le stanze del Nazareno e nei messaggi che si scambiano i dirigenti e i parlamentari dem. «Ma Elly si candida o non si candida?», si chiedono Andrea Orlando e Francesco Boccia. Dario Franceschini e Nicola Zingaretti. I quarantenni del suo cerchio magico la spingono alla corsa. Romano Prodi, il «grande vecchio», ha bocciato la sua idea: «Le finte candidature non servono». L'ex ministra Paola De Micheli fa un'intervista al giorno per spiegarle che la sua corsa danneggerebbe un po' tutti. L'ultima al Corriere della Sera: «Si punta sul traino vincente della segretaria. Ma le controindicazioni per questa operazione sono diverse». De Micheli obietta che la candidatura di Schlein penalizzerebbe le altre donne, perché «la segretaria capolista dovrebbe lasciare il posto al secondo, un uomo, per via dell'alternanza». Ed ecco la seconda domanda: «Perché Schlein lascia aperta l'ipotesi della candidatura, nonostante tutti questi no?». Proprio qui si innesta la supposizione che incuriosisce i maggiorenti del partito. Quindi un terzo dubbio: «Non è che ha paura di non essere più segretaria e cerca il paracadute di Bruxelles per allontanarsi da Roma?» Addirittura. In effetti, nel caso di una messa in discussione della leadership, il Parlamento europeo sarebbe un rifugio più tranquillo rispetto alle polemiche dei Palazzi romani. Un disarcionamento che potrebbe concretizzarsi subito dopo la prova del voto per l'Europarlamento. Sia se il Pd arrivasse sotto il 20% senza la segretaria, sia se la stessa Schlein arrancasse come consensi personali, venendo surclassata, in quanto a preferenze, dalla premier Giorgia Meloni. Che infatti se l'è scelta come avversaria, anche per il dibattito televisivo.

Bruxelles non sarebbe male come paracadute. Perché, si sa, la vita politica dei segretari del Pd, impegnati a schivare trappole e a spegnere il fuoco amico, non è mai stata troppo lunga. È stato così per quasi tutti. Particolarmente impressionante la serie negativa degli ultimi leader, dopo Matteo Renzi. Maurizio Martina è durato otto mesi. Zingaretti non ha superato i due anni. Stesso discorso per Enrico Letta. Il commissario Ue Paolo Gentiloni, intanto, ha già detto che lui alle europee non si candiderà. E già circola il suo nome come possibile traghettatore al Nazareno. «Nessuno potrebbe dirgli di no», dice al Giornale un esperto deputato del Pd. La Schlein è una precaria e pensa al suo futuro lontano da Roma, questa è la suggestione. Intanto la segretaria ribadisce che sarà solo lei a decidere sull'eventuale candidatura, senza condizionamenti. Senza guardare a ciò che faranno gli altri leader, a partire da Meloni. Una soluzione per sminare le polemiche potrebbe essere quella di presentarsi come capolista in una sola circoscrizione. Così da lasciare spazio alle donne e alla società civile.

Intanto Schlein si distrae con l'Abruzzo: «È tempo di mandare a casa la disastrosa giunta Marsilio». E poi c'è da preparare il ritiro politico-spirituale del Pd nel resort extra-lusso di Gubbio. Al buen retiro ci si penserà dopo.

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