La sfida di Bennett e la partita in Medioriente. Così Israele diventa protagonista nella crisi

Il premier in equilibrio tra il ruolo di Mosca e l'esigenza di sbloccare lo stallo

La sfida di Bennett e la partita in Medioriente. Così Israele diventa protagonista nella crisi

Se Putin e Zelensky atterreranno a breve a Gerusalemme per discutere di pace è assai incerto, e somiglia di più alla speranza di un miracolo che a una previsione politica: ma di sicuro, ambedue i leader hanno parlato con Naftali Bennett con inaspettata frequenza e in un modo o nell'altro fino a ieri la presenza del piccolo stato ebraico nella discussione globale sulla questione più drammatica del mondo è cresciuta. Si possono considerare le quattro telefonate con Zelensky e le due conversazioni con Putin stesso il seguito dell'incontro del 5 marzo, quando Bennett è volato fra molte sopracciglia alzate a incontrare a Mosca lo zar in guerra. Poi, ieri ancora uno scambio di idee. Zelensky spiega: «Ho detto a Bennett che al momento non è costruttivo parlarsi in Russia, Ucraina o in Bielorussia. Se considero Israele, e in particolare Gerusalemme, un posto adatto? La risposta è sì».

Perché? Le risposte di Zelensky, sempre memori del riferimento alla sua appartenenza ebraica, parlano di «tradizione e storia comune». Ma è vero: sono circa mezzo milione qui gli israeliani di discendenza ucraina, un milione i russi immigrati negli anni Novanta. Fino a ora erano sposati felicemente fra di loro, parlavano un po' russo e un po' ucraino e mangiavano borsch a casa loro. Ora alcuni in casa parlano solo ucraino anche se la moglie è russa, per solidarietà con Zelensky. Golda Meir e Zeev Jabotinsky erano ucraini, Chaim Weizmann, primo presidente, russo. Gli ucraini, dall'inizio della guerra, hanno insistito perché Israele mandasse armi e condannasse a piena voce: invece mentre il cuore popolare batteva all'unisono con Zelensky con tutta la stampa, le tv, i social, il governo ha scelto accoglienza (ci si aspetta qui un'ondata di decine di migliaia di rifugiati e da ieri saranno ammessi tutti quelli che qui hanno qualche famiglia, anche non ebrei, e questa non è l'Europa, è un Paesino di nove milioni di abitanti), enorme sforzo di assistenza in loco con ospedali da campo e salvataggi difficili di orfani, donne, vecchi. L'ambasciatore ucraino, forse ignorando Zelensky, ha seguitato a chiedere che Israele si affiancasse nella lotta armata. Ma la Russia occupa la Siria con Assad, Iran e Hezbollah, e se Israele vuole seguitare a bloccare e eliminare i terroristi, le fabbriche e i trasporti d'armi, deve conservare l'indifferenza russa, e non vedersi abbattere gli F15 all'opera. L'equilibrio però non ha lasciato posto al dubbio politico: Bennett, Lapid hanno ripetuto la scelta per la libertà e la democrazia, hanno condannato l'invasione, si impegnano in aiuti che migliorano ogni giorno, si dice che forniscano anche armi da tempo.

Qualcuno ha scritto che Bennett vuol convincere Zelensky ad arrendersi, ovvero ad accettare la rinuncia al Donbass, la semidemilitarizzazione, la neutralità.

Bennett ha risposto infuriato, negando del tutto. E in realtà, un piccolo popolo come quello israeliano, tutto impegnato nella difesa della propria democrazia ormai da ottanta anni, non può che essere anima e corpo con Zelensky.

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