"Siamo troppo autolesionisti. Non si riparte senza imprese"

Il giornalista lancia a Bari "Ripartenza 2022" e accusa: "Sull'altare del green stiamo distruggendo l'industria"

"Siamo troppo autolesionisti. Non si riparte senza imprese"

Un anno fa la pandemia da Covid-19, quest'anno l'Ucraina. Condizioni diverse e lo stesso identico dilemma: come far ripartire l'Italia? È intorno a questa domanda che si svilupperà «La Ripartenza 2022», la seconda edizione dell'evento ideato da Nicola Porro e che andrà in scena il 16 e 17 luglio a Bari. «Occupazione, lavoro e ricchezza - dice Porro - nascono solo dall'attività delle imprese: sono loro a dover essere al centro di tutto e da loro occorre ripartire. Questa idea l'avevo con il Covid e la conservo oggi di fronte alle sfide della guerra».

È per questo che al teatro Petruzzelli sfileranno grandi imprenditori e manager?

«L'Italia ha bisogno di infrastrutture pubbliche al passo con i tempi e di un'economia dinamica. Mettere allo stesso tavolo Eni, Enel e Rete Ferrovie Italiane con Moncler, JCDecauxe e Philip Morris serve proprio a capire come affrontare le sfide del futuro».

Cosa frena oggi la ripartenza?

«Semplice: ci poniamo degli obiettivi senza renderci conto della realtà dei fatti. E così finiamo col darci la zappa sui piedi»,

Tipo?

«Sull'altare della transizione ecologica stiamo per distruggere l'industria dell'automotive, senza capire che così diventeremo una succursale della Cina, da cui già oggi dipendiamo per le batterie e le terre rare. Il tutto mentre Pechino avvia due mega centrali a carbone, non esattamente green. Che senso ha smettere di produrre per poi andare a comprare i beni da quei Paesi che li realizzano senza alcun rispetto ambientale? È una roba da matti».

Un anno fa il ministro Giorgetti, proprio alla Ripartenza, aveva lanciato l'allarme: occhio a buttarsi a capofitto sull'elettrico o sarà un massacro. Nemo propheta in patria?

«Credo che in questo governo ci sia una componente che conosce bene i costi di certe scelte. Vedremo se prevarrà. Io al ministro Roberto Cingolani, presente a Bari, chiederò come si conciliano le sfide ambientali con le istanze di un'industria che deve restare competitiva».

Dicono però che se non smettiamo di inquinare sarà un disastro. Guarda cosa è successo con la siccità, il caldo torrido, la Marmolada.

«Non è così e lo dicono fior fior di scienziati. Questo terrorismo ambientale somiglia molto alla liturgia del terrore sul Covid. Però mi chiedo: pur prendendo per buone le teorie catastrofiste sul clima, qual è il reale contributo che possono dare 300 milioni di europei, che peraltro sono i minori contributori netti di C02 al mondo, di fronte a 7 miliardi di persone?».

Intanto il prezzo dell'energia è alle stelle: non è che abbiamo detto addio al gas di Putin troppo in fretta?

«Spesso politici e burocrati si innamorano di alcune tesi senza fare i conti col mercato. Non è di un secolo fa lo slogan Il metano ti dà una mano', ce lo siamo dimenticati? Abbiamo metanizzato i Comuni di tutta Italia e solo adesso ci accorgiamo che ci avrebbe reso dipendenti da alcuni Paesi, non solo la Russia, politicamente molto discutibili».

Una contraddizione.

«E non è l'unica. Il più bravo di tutti, Mario Draghi, è riuscito nel giro di un anno a dare prima del dittatore di Erdogan e poi volare da lui per stabilire un ottimo rapporto di amicizia. Francamente, qualcosa non torna».

Non torna neppure questo: siamo tutti d'accordo nel voler rimpiazzare il gas russo, ma poi su rigassificatori e trivelle nascono fronti del no trasversali. Te l'aspettavi?

«Sì, perché l'Italia del No e dei localismi non ha colore politico. Va anche detto però che il governo centrale ci mette del suo. Ha realizzato un piano per le trivellazioni, il Pitesai, in cui ha messo nero su bianco che i giacimenti dell'Adriatico verranno sfruttati dai croati e non dagli italiani».

Scelta folle?

«Il punto è che la classe politica sa

benissimo che fra qualche anno, quando i nodi verranno al pettine, non saranno loro a pagarne il conto. Pensano solo a massimizzare gli interessi nell'ottica della legislatura, senza guardare al bene del Paese sul lungo periodo».

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