La "tregua" Salvini-Tajani. Meloni: ora abbassare i toni

La premier prepara il vertice di Parigi dove rilancerà l'idea italiana di una sorta di articolo 5 Nato per Kiev. La disponibilità di Witkoff

La "tregua" Salvini-Tajani. Meloni: ora abbassare i toni
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Macerie non ce ne saranno, perché è del tutto evidente che lo scontro che si sta consumando tra Antonio Tajani e Matteo Salvini non è destinato nei mesi a venire a incrinare una maggioranza non solo numericamente solida ma pure rafforzata da un'opposizione intangibile. Di certo, però, la polvere sollevata dalle continue accelerazioni del leader della Lega inizia ad affaticare il cammino del governo. In casa, perché i continui distinguo di Salvini stanno diventando una sorta di rumore di fondo. Ma anche oltreconfine, dove c'è chi guarda con qualche perplessità all'attivismo ultra-trumpiano del vicepremier leghista. Soprattutto a Bruxelles e nelle principali capitali europee, dove si respira una forte preoccupazione sia per i negoziati tra Kiev e Mosca, sia per i dazi statunitensi sui prodotti europei che Donald Trump dovrebbe annunciare il 2 aprile. Ed è proprio in questo quadro che giovedì Giorgia Meloni parteciperà al vertice dei volenterosi convocato da Emmanuel Macron all'Eliseo. Dove la premier insisterà sulla necessità di garantire innanzitutto la sicurezza dell'Ucraina con un accordo di pace «non violabile» dalla Russia e rilancerà la proposta italiana di un'intesa internazionale pro-Kiev sulla falsariga dell'articolo 5 della Nato. Ipotesi su cui ieri si è detto possibilista Steve Witkoff, l'inviato speciale di Trump per il Medio Oriente che si sta occupando anche dei negoziati Russia-Ucraina.

Ed è anche in vista dell'appuntamento di Parigi e di uno scenario internazionale sempre più complicato e in evoluzione che Meloni va da giorni predicando cautela con gli alleati. Tanto che Fdi - dove inizia a registrarsi un certo fastidio verso Salvini - ha deciso scientificamente di non farsi coinvolgere nella polemica tra i due vicepremier. Che ieri, per la verità, si è andata un po' stemperando. Salvini, infatti, fa sapere che quando Tajani ha parlato di «partiti di quaquaraqua» non ce l'aveva con la Lega e che il rapporto lui e Meloni «non è buono, ma ottimo». Insomma, aggiunge, «se il vicepresidente del Consiglio chiama il vicepresidente degli Stati Uniti che problema c'è?». In verità, né a Palazzo Chigi, né alla Farnesina la pensano così. Ma anche Tajani spinge per smorzare i toni e il portavoce di Forza Italia Raffaele Nevi spiega che «non serve alcun vertice di maggioranza» perché «i leader della coalizione di governo si vedono e si sentono continuamente».

Una tregua che dovrebbe durare almeno fino al vertice di Parigi e che chissà se resisterà al congresso della Lega in programma il 5 e 6 aprile. Dopodiché il nuovo fronte di tensione rischia di diventare il tavolo delle regionali che si dovrebbero tenere in autunno: Campania, Marche, Puglia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto. Ed è proprio quest'ultimo il grande nodo da sciogliere, sul quale ieri è arrivato qualche segnale distensivo. Se Fdi e Fi hanno sempre sostenuto che le elezioni dovranno tenersi in autunno, il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha aperto a un possibile rinvio di qualche mese. Una soluzione che non dispiace affatto a Salvini, che ha più volte sottolineato come questo possa permettere al governatore uscente Luca Zaia di presenziare all'inaugurazione delle Olimpiadi Milano-Cortina. Oltre, ovviamente, a rimandare al 2026 quello che nel centrodestra è un fronte caldissimo.

La Lega, infatti, insiste per indicare il successore di Zaia, mentre FdI - forte del suo 37% ottenuto in regione alle ultime elezioni politiche - rivendica il diritto ad avere un proprio candidato. Ed questa partita - decisamente più delle beghe elettoralistiche e identitarie sulla politica estera - che rischia di avere ricadute sul governo nazionale.

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