Non è più una mossa a sorpresa, semmai è un caso politico. Il Viktor Orbàn fresco di investitura alla presidenza semestrale di turno dell'Ue che vola a Mosca a parlare «di pace» non fa il gioco degli europei che pretende di rappresentare: fa quello di Vladimir Putin. Il premier ungherese che da anni boicotta e ostacola ogni iniziativa dei Ventisette (o meglio, degli altri ventisei Paesi membri dell'Unione) tesa a sostenere l'Ucraina aggredita militarmente dalla Russia è tristemente coerente con se stesso quando si siede al Cremlino con l'aggressore e fa propri i punti chiave della sua strategia: ottenere una tregua adesso, prima di avviare un (più che ipotetico) negoziato tra Mosca e Kiev, spaccare l'unità europea, incrinare quella della Nato e lavorare per far fallire la conferenza di pace organizzata in Svizzera da Zelensky per ottenere una pace giusta che non sia la resa di fatto che Putin pretende.
Un caso politico, dunque. Perché credere alla buona fede di Orbàn quando ci racconta che prima è andato a Kiev a proporre di «considerare» un cessate il fuoco senza garanzie e poi si è presentato dal suo amico Putin a «parlare di pace» esattamente nei termini che il dittatore russo gradisce, è impossibile. Orbàn è andato a Mosca per fare il gioco di Putin, dandogli l'opportunità di approfittare della sua ambiguità: «Vedo che lei è qui anche in veste di rappresentante europeo e non solo dell'Ungheria», gli ha infatti detto furbescamente l'uomo del Cremlino, fingendo di non sapere che Orbàn non ha ricevuto alcun mandato. E non solo non lo ha ricevuto da Bruxelles, dove sono furenti con lui per come sta abusando del suo ruolo, ma tantomeno da Kiev, con Zelensky che ha dovuto precisare di non essersi nemmeno sognato di autorizzare il premier ungherese a lasciar intendere che da parte ucraina gli sia stato affidato qualsiasi messaggio di apertura destinato a Putin.
La cosa insieme più ridicola e inquietante è che Putin si sia dichiarato «disposto» a discutere con Orbàn dei dettagli del suo piano di pace per l'Ucraina. Ridicola, perché Putin non poteva sperare in niente di meglio di una situazione del genere, con il capo di governo più filorusso dell'Ue che si presenta da lui in vesti ambigue e non si sogna di spendere una parola per condannare la guerra criminale che sta conducendo ai danni di un Paese europeo libero e indipendente. Inquietante, perché per Putin in realtà c'è ben poco da discutere. La sua idea di negoziato consiste nell'imposizione delle sue pretese: incamerare i territori ucraini che lui considera già parte della Russia - come faceva Hitler alla fine degli anni Trenta in Cecoslovacchia, in Lituania e in Polonia quando si atteggiava a protettore dei «tedeschi etnici» per costruire il Grande Reich - ridefinire lo status internazionale di Kiev e disarmarla in vista di una futura assimilazione in stile Bielorussia.
È a queste infamie che Orbàn si presta parlando di «pace» con l'uomo che ha scatenato la guerra in Europa. La pace di cui abbiamo tutti bisogno, l'unica che può funzionare, non si può realizzare attraverso le concessioni all'aggressore: questa sarebbe, più ancora di una pace ingiusta, l'anticamera di una futura resa dell'Ucraina e l'incoraggiamento a nuove aggressioni russe.
La pace giusta può e deve basarsi soltanto sul rispetto del diritto internazionale e sul rifiuto di quel nuovo ordine mondiale che le due potenze autoritarie Cina e Russia, con i loro alleati minori, cercano di imporre con la forza a tutti noi.
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