Osannati, sedotti e corteggiati. Sono i magistrati italiani che sono stati assunti a simbolo di onestà suprema dalla sinistra e dal M5S, prima di essere abbandonati o criticati come è recentemente successo a Nino Di Matteo.
Lo scontro Di Matteo-Bonafede
Da quando il pm che ha indagato anche sulla trattativa Stato-mafia ha rilasciato quelle brevi dichiarazioni su Alfonso Bonadede, durante la trasmissione di Massimo Giletti ‘Non è l’arena’, nulla è più come prima. Marco Travaglio, che in passato ha chiesto le dimissioni di un ministro per molto meno, stavolta ha chiuso la polemica parlando di un “malinteso” tra il magistrato e il Guardasigilli grillino che è persino capodelegazione del M5S nel governo. Salvare la poltrona di Bonafede e, soprattutto quella di Giuseppe Conte, per il direttore del Fatto Quotidiano, evidentemente è più importante della coerenza politica propagandata fin qui. Ma Di Matteo non è un caso isolato.
Tangentopoli e le toghe rosse di Milano
In particolare, il pool di Mani Pulite è stato tirato per la giacchetta prima dalla destra e, poi, dalla sinistra. Se la Bocassini è andata in pensione portandosi in eredità il soprannome di “Ilda la rossa”, Francesco Saverio Borelli è morto lasciando dietro di sé gli echi del famoso appello ‘Resistere, resistere, resistere’ con cui nel 2002 si oppose alla riforma della Giustizia del II governo Berlusconi. Gerardo D’Ambrosio è deceduto nel 2014 dopo aver trascorso sette anni (dal 2006 al 2013) a Palazzo Madama come senatore dell’Ulivo. Gherardo Colombo è stato membro del cda Rai dal 2012 al 2015 in quota Pd. Piercamillo Davigo, invece, ha preferito far carriera all’interno della magistratura fino a diventare, prima presidente dell’Anm e, poi, membro del Csm. Un’ascesa costante caratterizzata inizialmente da un’anti-berlusconismo spinto e, in seguito, da uno stretto feeling col M5S.
Antonio Di Pietro in politica
Ma il magistrato che più di tutti ha avuto fortuna in politica è Antonio Di Pietro che, dopo aver rifiutato l’offerta di entrare come ministro nel primo governo Berlusconi, nel 1996 non ci pensa due volte e dice di sì a Romano Prodi per la guida del dicastero dei Lavori Pubblici. Incarico che lascia dopo appena sei mesi quando viene raggiunto da un avviso di garanzia dalla procura di Brescia, salvo poi essere prosciolto da tutte le accuse. Ristabilita l’onorabilità, Di Pietro nel 1997, in occasione di un’elezione suppletiva, si candida nell’ormai famoso collegio del Mugello e viene eletto come indipendente di centrosinistra. Passano soltanto pochi mesi e subito si adopera per dar vita al primo grande partito giustizialista, l’Italia dei Valori che, per un breve periodo, confluirà nei Democratici di Romano Prodi con i quali verrà eletto eurodeputato nel 1999. Alle elezioni Politiche del 2001, invece, si presenta col simbolo dell’Idv, ma fallisce l’obiettivo di entrare in Parlamento. Nel 2004, però, riesce a farsi rieleggere europarlamentare e due anni più tardi il suo partito, col 2,3%, risulta determinante per la vittoria dell’Unione. Di Pietro viene, quindi, nominato ministro delle Infrastrutture nel II governo Prodi che cadrà dopo soli 18 mesi dal suo insediamento. Si arriva così al 2008 quando Walter Veltroni battezza il Pd presentandosi alle Politiche con l’intenzione di realizzare, attraverso il voto, quella vocazione maggioritaria del nuovo partito. Una vocazione che, al grido di “Corriamo da soli”, avrebbe dovuto cambiare la politica italiana e far dimenticare le divisioni dell’Unione. Le speranze che molti riposero in Veltroni svanirono miseramente già nel corso della campagna elettorale dal momento che, coalizzandosi con l’Italia dei Valori, venne meno la promessa di correre in solitaria. In quell’occasione, infatti, il partito dell’ex pm, anche in virtù delle peculiarità del Porcellum, fu capace di raccogliere il 4,4% dei consensi, raggranellando i voti provenienti da tutte le altre forze che si ponevano a sinistra del Pd.
Per Di Pietro è un momento d’oro: l’antiberlusconismo si fa partito e raggiunge il suo apice alle Europee del 2009 quando l’Idv ottiene l’8%. In quell’occasione fa il suo ingresso in politica anche Luigi De Magistris che risulta il più votato dopo Silvio Berlusconi, grazie anche all’endorsement ricevuto dal comico Beppe Grillo che, di lì a pochi mesi, avrebbe dato vita al partito più manettaro di tutti, il Movimento Cinque Stelle. Ma, come spesso accade, ‘chi di manette colpisce, di manette perisce’. Nel 2012 un’inchiesta di Report, infatti, svela lo scandalo dell’uso improprio dei rimborsi e molti esponenti politici dell’Idv vengono indagati.
Gli altri magistrati sedotti dalla politica
Dall’Italia dei Valori inizia, quindi, una fuga generale che vede l’uscita dalla politica di molti personaggi illustri, ad eccezione di De Magistris che diventa sindaco di Napoli. Di Pietro, nel 2013, sostiene Rivoluzione Civile, il progetto politico di Antonio Ingroia che avrà vita molto breve e scarsissimi consensi. Lo scettro del giustizialismo, infatti, dal 2013 passa in mano al M5S che viene sostenuto fin da subito dagli elettori dipietristi, dagli ex girotondini e da magistrati come Di Matteo e Piercamillo Davigo. Proprio nel 2013 i grillini, neofiti del Parlamento, propongono il magistrato ed ex senatore del Pci-Pds, Ferdinando Imposimato, per la carica di Capo dello Stato, ma lui si affretta a sottolineare di non aver mai aderito formalmente al M5S. Nel 2013, sotto le insegne del Pd, entra anche l’ex Procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso che diventa subito Presidente del Senato. Cinque anni dopo, Grasso si ripresenta come leader di Liberi e Uguali, formazione che raggruppi i bersaniani e la sinistra dem che aveva rotto con il Pd di Matteo Renzi. Il leader di Italia Viva, che ora si fa paladino del garantismo, nel 2014 da segretario del Pd e da premier in pectore si presenta da Giorgio Napolitano proponendo il magistrato Nicola Gratteri come possibile ministro della Giustizia del suo nascente governo. Proposta che Napolitano respinse al mittente. Renzi, sempre in quegli stessi anni, istituisce l’Anac ponendovi a capo il magistrato Raffaele Cantone. Insomma, nessuno a sinistra, è mai stato immune dal desiderio di coccolare e avere dalla sua parte una toga rossa. All’appello non può mancare la sfilza di magistrati che hanno fatto carriera dentro il Pd: da Michele Emiliano (governatore della Puglia) all’ex procuratore Antimafia, Franco Roberti (eurodeputato), passando per Anna Finocchiaro, più volte ministro dei governi di centrosinistra e, ora, ritornata a fare il suo mestiere.
Pasquino: "Se un pm vuol fare politica, si deve dimettere dalla magistratura"
Un’usanza che Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica, interpellato da ilgiornale.it sul tema, giudica totalmente inopportuna: “Preferirei che nessun magistrato entrasse in politica e, anzi, che neppure avesse l’idea di farlo. Credo, inoltre, chi si candida, dovrebbe dare le dimissioni dalla magistratura ancor prima delle elezioni o non appena eletto”. Pasquino ricorda, poi, che se da un lato è vero che “Il Pd ha spesso candidato dei togati come riconoscimento per il buon lavoro svolto in carriera”, dall’altro lato è altrettanto vero che “il primo magistrato eletto in Parlamento fu Oscar Luigi Scalfari nel 1946”.
Per quanto riguarda i togati anti-berlusconiani per eccellenza, ossia quelli del Pool di Mani Pulite, “non sono entrati in Parlamento, se non molto tardi”, mentre “Di Pietro, nonostante fosse il più famoso, non fa esattamente parte di quella schiera lì”. “Il problema è che la magistratura è divisa al suo interno e qualche volta viene eletto chi rappresenta solo una piccola parte dell’Anm”, conclude Pasquino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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