Poveri noi, se il monotono «vuvu» diventa simbolo della protesta globale

Dai campi del Mondiale sudafricano alle città europee dilaga la «vuvuzela-mania». Il fastidioso suono in «si bemolle» emesso dalle trombette lunghe un metro rischia di danneggiare l'udito, dice uno scienziato. Ma intanto in Francia è già sbarcato in Parlamento

I calciatori - si sa, un po' viziati - proprio non la sopportano. Sui campi da rugby, sport che in Sudafrica viene considerato da bianchi un po' fighetti, quel suono non è addirittura ammesso. Un «si» bemolle continuo, senza interruzioni, monotono e fastidioso come quello di un moscone dispettoso e insistente, capace di mandarti ai matti.
Dai mondiali di calcio alle città europee sta scoppiando però la «vuvuzela-mania»: una vera ossessione che, nei giorni scorsi, ha indotto più di un telespettatore a chiamare il tecnico tv pensando che quel rumore di sottofondo, durante le partite del Mondiale, fosse un guasto all'apparecchio.
Invece la lunga trombetta sudafricana si sta imponendo come la consueta moda stupida dell'estate, che poi forse tanto stupida non è. Rappresentando, in effetti, il classico segno dei tempi. Tempi di classi subalterne e disagiate che vivono in maniera passiva, monotona. E sembrano voler ricordare al mondo - in maniera pacifica ma insistente - il loro disagio attraverso questo suono, altrettanto noioso e petulante.
La moda è sbarcata persino al Parlamento francese: mentre i deputati discutevano della controversa riforma delle pensioni voluta dal presidente Sarkozy, è scoppiato un violento battibecco. Mentre dai banchi di destra hanno cominciato a protestare applaudendo, da quelli di sinistra gli «ululati» dei deputati socialisti, che imitavano il «Vuuuu» sommesso della cornetta, ha avuto la meglio sommergendo del tutto la voce del ministro Woerth.
Se c'è chi le adora e chi le detesta. Trevor Cox, presidente dell'Institute of Acoustics britannico e ingegnere del suono dell'Università del Salford,sostiene addirittura che le trombette mettono in pericolo l'udito di chi è esposto al loro suono in modo ravvicinato e prolungato. Ma se in Sudafrica hanno pensato di sostituirle poco a poco con trombette depotenziate, nelle città europee la mania dilaga. Non è difficile ormai sentirle nelle strade milanesi. Spopolano addirittura sul web: pagine e pagine sono dedicate alla trombetta colorata, di cui è stata fatta una versione economica e colorata in plastica. Alla classica domanda: «Dove posso comprare una vuvuzela a Milano?», sono in molti ormai a rispondere senza mandare a quel paese. Tanti i siti internet che le vendono: ebay, piro89com, Yesmarket, e persino la Apple ha messo in commercio le prime applications per iphone e ipad. Da qualche giorno la milanese «South Africa House» in viale Montenero 55 ne distribuisce scatole e scatole. «Un migliaio solo oggi, e gente di ogni età continua a chiederne - commenta Stefania, addetta allo store -: è un delirio, e domani ne arriveranno altre diecimila».
In Sudafrica, una delle più grandi aziende sanitarie private che si occupano di Aids, «Right to Care», ha deciso di sfruttare il corno per lanciare il suo messaggio contro il silenzio sulla diffusione dell'Aids: queste speciali «vuvuzela» di beneficenza sono di colore rosso con sopra scritto, in bianco: «fai casino per l'Hiv». Il ricavato del prezzo di vendita (20 rand a pezzo, circa 2,5 euro) sarà devoluto al finanziamento delle cure contro l'Aids per i più poveri. Il presidente della Fifa, Blatter, s'è dichiarato restio a qualsiasi tipo di divieto, e i bookmaker hanno registrato il messaggio offrendo agli scommettitori giocate da «50 a 1» sulla messa al bando delle micidiali trombette.
La «vuvuzela» (chiamata anche «lepatata» in lingua tswana) ricorda vagamente un corno d'antilope della savana e da anni è divenuta una sorta di simbolo del calcio in Sudafrica. L'origine del nome pare che sia onomatopeico e in lingua zulu vorrebbe dire semplicemente: «fare vuvu». Per altri deriva da un termine gergale degli slams di Città del Capo e vorrebbe significare: «doccia», in riferimento alla sua forma.


Se la moda superarà l'estate (prepariamoci a sentirle sulle spiagge), nell'«autunno caldo» della crisi globale questo potrebbe diventare il suono della protesta. L'urlo sommesso ma continuo di un mondo annoiato e infastidito, che vuole rendere a tutti pan per focaccia, fino all'esaurimento globale.

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