Quando i russi cercarono di battere il «grande corso», rapendo il suo alter ego

Nel romanzo «Il gemello di Napoleone», casa editrice Leone, Jacques Forgeas narra la vicenda di Jomini, stratega svizzero realmente esistito, in grado di ragionare come l'Imperatore dei francesi. Lo Zar lo farà perciò sequestrare nella speranza di carpire i motivi delle sconfitte patite dal suo mortale nemico

Un romanzo in bilico tra storia e psicanalisi, fatti veri, personaggi esistiti e altri inseriti come espediente «narrativo». Come il cuoco Clement, voce narrante delle vicende dello stratega svizzero Antonie-Henry Jomini. Realmente esistito, abbandonò ventenne la carriera di banchiere per arruolarsi nella «Grande Armée» e raggiungere il suo idolo, Napoleone Buonaparte. Di cui condivideva così bene le intuizioni tattiche e strategiche da sbalordire i contemporanei. Anzi una sorta di doppio, tale da far sospettare all'epoca un caso di lettura del pensiero. Proprio per questo l'Imperatore, dopo averlo voluto al suo fianco, lo scaccio dalle corte e dallo stato maggiore del suo esercito.
Un intreccio che, sempre per rimanere alla storia francese, sembra gareggiare con quello del «Visconte di Bargelonne». Terzo e ultimo romanzo di Alexandre Dumas padre dedicato al ciclo dei moschettieri Athos, Porthos, Aramis e D'Artagnan, narra la vicenda del gemello di Luigi XIV, imprigionato alla Bastiglia per evitarne possibili interferenze. Per giunta obbligandolo, proprio per la somiglianza, a indossare sempre una maschera di velluto nero bordata di ferro. Nessuna somiglianza o parentela invece tra Jomini e il «Grande Corso» anche se Jacques Forgeas, autore del romanzo uscito in questi giorni presso la casa editrice Leone, l'ha intitolato «Il gemello di Napoleone». Scrittore e sceneggiatore francese, Forgeas ha spiegato nel corso della presentazione del romanzo presso la Libreria del Corso in Corso San Gottardo, come Jomini sia piuttosto noto in Francia. Tanto da averne sentito parlare fin dalle scuole primarie dal suo insegnante di storia. Con gli anni ha poi dedicato studi e ricerche alla figura di questo banchiere mancato, fino a trarne un libro.
Antonie-Henry Jomini, nato nel 1779 a Payerne, nel cantone svizzero di Vaud, da una famiglia della buona borghesia, viene inizialmente instradato dal padre alla carriere di banchiere. Lui però ama la strategia militare e in breve riesce a raggiungere una discreta fama, soprattutto per la sua capacità di «pensare» come Napoleone Buonaparte. Nel 1803 incontra Ney, il futuro maresciallo dell'Armée che l'aiuta a pubblicare un trattato che attira la curiosità dell'Imperatore. Nel 1806 viene chiamato a Magonza dove ottiene il grado di generale di squadra. Poi diventa capo di stato maggiore di Ney in Prussia e infine, durante la campagna di Russia, governatore di Vilna e quindi di Smolensk. Ma mai maresciallo come brama intensamente. Jomini ne attribuisce la causa al maresciallo Berthier che lo detesta, sembra per il suo carattere piuttosto arrogante. La mancata promozione, e la reticenza di Napoleone nel confidargli i movimenti delle truppe, lo spingono a «passare al nemico». Nel 1813, si pone al servizio di Alessandro I senza suscitare tuttavia grandi scandali: non essendo francese, non può essere considerato un traditore o un rinnegato. Diventa quindi consigliere militare dello zar, poi precettore di suo figlio Alessandro II, quindi principale artefice della creazione della scuola di guerra russa. Infine durante la guerra di Crimea consigliere militare dello zar. Nel 1855 si ritira a Parigi dove risiederà fino alla morte, avvenuta nel 1869. Gli storici militari hanno sempre riconosciuto il suo genio tanto da affiancarlo al celebre Carl von Clausewitz, suo contemporaneo. Anche se rimane poco noto al grande pubblico. Qualche studioso ha anche creduto di indovinarne il motivo: Clausewitz era un militare che spiegava la guerra ai civili, Jomini un civile che la spiegava ai militari.
Dettagli ininfluenti in letteratura, così Forgeas costruisce attorno a Jomini una sorta di thriller storico, mettendolo al centro di complotti diplomatici e spionistici internazionali, quindi rapito e portato alla corte di Alessandro. Qui viene anche ipnotizzato, per cercare di capire come possa il suo cervello essere assolutamente sulla stessa lunghezza d'onda di quello di Napoleone. Curioso espediente narrativo, l'intera vicenda viene narrata dal suo cuoco Paul Clement, inventore del «pollo alla Marengo». La pietanza, nata tra i fumi di una battaglia prima persa e poi vinta, rimane giustamente famosa, forse anche come metafora sobria, saporosa ed efficace del genio di Napoleone. Come il suo padrone, Clement sarà vittima di un gioco di spie, tradimenti e inganni, dovrà percorre l'Europa in lungo e in largo, tra scontri epocali e ambizioni immense fino a quando l'ultima battaglia, quella più importante, metterà di fronte la stella napoleonica contro la genialità di Jomini.
Peccato che, sempre gli storici, attribuiscano la ricetta a un altro gastronomo, curiosamente anche lui svizzero. Una volta concluso l'epico scontro infatti Napoleone, sempre a digiuno durante i combattimenti, avrebbe chiesto a Dunand, suo chef personale, di preparargli la cena.

Colto alla sprovvista e a corto di provviste a causa della lunga battaglia, il cuoco raccattò i pochi ingredienti a disposizione, uova, pomodori, gamberi di fiume, aglio, olio, pane e vino bianco con i quali cucinò un pollo, sembra anch'esso rimediato all'ultimo momento. Ne venne fuori una pietanza così gustosa che Napoleone avrebbe ordinato a Dunand di prepararglielo alla fine di ogni battaglia.

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