Tripoli
Il colonnello non cadrà, ma sarebbe pronto a farsi ammazzare come
Ceausescu piuttosto che fuggire. I ribelli non riusciranno a marciare
su Tripoli ed il governo è deciso ad ammazzarli senza pietà. La
disinformazione ha fatto circolare la notizia che anche la cattedrale
era stata bombardata. Il vescovo di Tripoli Giovanni Innocenzo
Martinelli, francescano di Verona è vicario apostolico dal 1985. Un
veterano della Libia, che conosce bene gli umori del paese. Per
l'intervista esclusiva a Il Giornale l'appuntamento è nella residenza dietro la cattedrale, a due passi dall'ambasciata italiana.
Il colonnello reggerà?
«Penso
di sì, almeno a Tripoli. Questa è la sua roccaforte, mi sembra in
grado di resistere. Non credo che lascerà facilmente la capitale o la
Libia. Si sente il padre di questa nazione. É pronto a dare il
sangue per il suo Paese. Per il carattere e la sua identità non
fuggirà».
Piuttosto si farebbe ammazzare come Ceausescu fucilato assieme alla moglie nel 1989 in Romania?
«Penso di sì. Si farebbe ammazzare perchè si sente il padre della rivoluzione fino all'ultimo».
La Cirenaica non è più sotto il controllo del colonnello. Esiste un pericolo secessione?
«É
quello a cui stiamo assistendo, ma non so ancora dire in che forma
l'indipendenza di queste città dell' Est potrebbe venir garantita. Si
parla di emirati, piccoli stati. La Libia è un paese diviso in kabile , tribù. Ognuno rivendica la propria fetta di diritti e potere. Però al di fuori di questi emirati restano Tripoli, Sirte
e anche Sabah, roccaforti del colonnello. A me sembra difficile che i
ribelli riescano a prendere veramente una città come Tripoli. La
capitale non è Derna o Zawia facili da conquistate. Tripoli è ben
difesa e protetta. Per questo si rischia un bagno di sangue. Oppure
dovrebbero bombardare, ma la domanda è chi bombarda? I ribelli non hanno
questa possibilità».
Sulla
situazione in Libia, fin dall' inizio della rivolta, è circolata molta
disinformazione. A cominciare dalle notizie infondate del
bombardamento aereo del centro di Tripoli....
«La disinformazione arriva dai media stranieri, che qualche giorno fa
avevano addirittura annunciato il bombardamento della cattedrale dove
ci troviamo e l'incendio dell' aeroporto. Comunicare queste storie al
mondo mi ha stizzito, perchè significa alimentare paura e tensione
Sono state diffuse delle notizie totalmente false e dannose».
Anche sui morti si parla di numeri incredibili, come 10mila vittime. Lei cosa ne pensa?
«Mi sorprende, resto sbalordito di fronte a notizie del genere. Il
punto interrogativo è chi avrebbe commesso gli eccidi? I libici o gli
stranieri? Gheddafi accusa al Qaida di gran parte delle
responsabilità. In una certa misura posso anche credere
nell'infiltrazione e strumentalizzazione del fondamentalismo
terrorista».
Però ci sono già stati centinaia, se non migliaia di morti...
«Le suore che lavorano negli ospedali della Cirenaica (l'aera orientale del paese sotto il controllo dei ribelli, nda ) sono state testimoni di vittime e feriti, ma è difficile dire esattamente quanti. Le nostre 20 sorelle
prestano assistenza a Bengasi Tobruk, Derna e altre località della
Cirenaica. Le italiane sono una quindicina. Solo una suora anziana e
malata è partita venerdì per l'Italia. Le altre vogliono restare per scelta e missione».
Pensa che qualcuno possa realmente marciare su Tripoli?
«Mi
sembra un'ipotesi difficile da realizzare. Tripoli è una città grande
ed estesa. Ci vuole un esercito di migliaia di soldati e non penso che i
ribelli abbiano mezzi tali per poterlo fare. Non dimentichiamo che
dall'altra parte, il governo è deciso ad ammazzarli senza pietà. Lo sta
già facendo in certe zone dove si sono accorti della presenza dei
ribelli. Li fanno fuori attorno a Tripoli in aree come Fashlun, Sharm
Ben Ashur e forse a Tajoura per bloccare e frenare gli insorti».
Chi sono i miliziani con la fascia verde, che girano in città e hanno il grilletto facile?
«Si tratta dei fedeli di Gheddafi, militari della rivoluzione. La polizia prende praticamente ordini da loro ».
Come si è arrivati a questo punto?
«Penso
che tutto parta da una crisi generazionale. I giovani hanno bisogno
di un posto di lavoro, di una casa e ci sono difficoltà. La Libia sta
meglio della Tunisia e dell'Algeria, ma le richieste dei giovani, che
forse andavano ascoltate maggiormente, sono sfociate in violenze a
cominciare dalla Cirenaica. Poi la situazione è degenerata».
Come prevede che finirà?
«Non sarei così sicuro che finirà realmente. Tripoli è forte, Gheddafi ha i suoi fedeli pronti a tutto. In qualche modo la capitale resterà nelle sue mani».
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