Ritratto di Ramelli, vittima innocente della borghesia rossa

Non si tratta di un libro di un reduce, ma non è solo la cronaca di uno scrittore

Ritratto di Ramelli, vittima innocente della borghesia rossa
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Sapete che da queste parti non si usano i mezzi termini. Correte in libreria e comprate l'ultimo libro di Giuseppe Culicchia. Si chiama Uccidere un fascista, edito da Mondadori, e riguarda la storia di Sergio Ramelli, un giovane studente di destra ucciso da otto delinquenti di Avanguardia operaia. Vi diciamo subito che non si tratta di un libro di un reduce, ma non è solo la cronaca di uno scrittore. Sin dalle prime pagine Culicchia non può non citare la sua personale vicenda familiare, la sua parentela con il brigatista Walter Alasia, che uccise e fu ucciso. E vi farà arrabbiare. Cosa diavolo c'entra un terrorista rosso a tutto tondo che ha sparato ed è stato colpito, con la storia di un giovane diciottenne iscritto al fronte della gioventù e la cui unica colpa è stata quella di scrivere un tema in cui lamentava l'oblio verso le morti di destra? Eppure leggendo capirete e apprezzerete. Culicchia sa distinguere le storie, ma unisce correttamente i dolori. E piano piano lascia il passo del racconto alla sola vicenda di Ramelli. E su quella, con la forza di uno scrittore, percorre il dramma di un giovane innocente. Lo vedete nella copertina di prima pagina, con l'aria pasoliniana di un ragazzino della periferia romana, ma che invece con i suoi capelli lunghi frequentava un istituto tecnico di Milano. Una scuola e un ambiente che lo ha prima isolato, poi costretto a lasciare e infine deriso. Culicchia è bravissimo. Con un artificio narrativo fa raccontare in prima persona, alle piazze e alle vie delle stragi, la storia di quegli anni di piombo. E racconta come il povero Ramelli sia stato prima isolato e poi ucciso dalla chiave inglese di una borghesia violenta e incosciente. Non era un fascista, nonostante persino il quotidiano Avvenire lo ritenesse tale, non picchiò nessuno, non si armava, girava con il suo Ciao, giocava a pallone e amava Celentano. Il preside, i professori, tranne uno, non lo difesero e non si girarono dall'altra parte: si voltarono piuttosto dalla parte degli assassini. Se l'era cercata, si era iscritto al Fronte, sua unica colpa, e aveva scritto quel tema, che subito era finito sulla bacheca della scuola. Per quello dopo poco fu umiliato, picchiato e fotografato. Per questo fu circondato. Per questo fu pedinato e poi ucciso. Per questo suo fratello dovette studiare fuori Milano, sua madre disperarsi vedendo quella pozza di sangue sull'asfalto, e suo padre morire di crepa cuore poco dopo.

È una delle storie degli anni di piombo. Che ha visto tanti morti da una parte e dall'altra.

In gran parte incolpevoli, ma forse nessuno così tragico come quello del povero Sergio Ramelli. Più di una targa, che la scuola anche oggi non vuole concedere, più di un ricordo dei suo vecchi amici, il libro di Culicchia, ricorda e illumina un rischio costante che la nostra società corre.

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