Scacco al clan del boss Giuseppe Di Silvio, detto Romolo. In manette sono finite, alle prime luci dell’alba di ieri, 33 persone, tra le quali anche lo stesso boss, già in carcere a Rebibbia per omicidio. Il capo incitava i suoi con frasi del tipo "Tenete la città di Latina in mano", con l’obiettivo di ampliare sempre di più le zone sotto il controllo del clan. E i suoi uomini erano soliti seguirne le indicazioni, dettate dal boss anche dietro le sbarre, facendo così lievitare gli affari riguardanti droga, armi, violenza e denaro a non finire.
L'indagine che ha inchiodato il boss
In carcere sono finiti in 27, mentre altri sei sono stati messi agli arresti domiciliari. Tutti accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, sequestro di persona, spaccio di droga, furto, detenzione e porto abusivo di armi. L’inchiesta, coordinata dallo Sco e diretta dal procuratore aggiunto dell'Antimafia capitolina Ilaria Calò, è stata portata avanti dalla polizia di Stato di Latina e Roma. Tutto avrebbe avuto inizio dalla denuncia di alcune spedizioni punitive organizzate nel centro storico della capoluogo pontino e da estorsioni ai danni di alcuni esercenti, che sottolineavano il tentativo da parte del clan di consolidare il proprio potere. Tra queste, quella riguardante l’aggressione a un ristoratore della movida di Latina nell'aprile del 2019.
Chi è Giuseppe Di Silvio
Il boss 55enne Giuseppe Di Silvio è stato protagonista in passato di gravissimi episodi criminali a Latina, ed era stato condannato all’ergastolo per l'omicidio, avvenuto nel 2010, durante una faida tra clan per il controllo del territorio. Secondo gli investigatori sarebbe lui il capo indiscusso del gruppo criminale dedito all'estorsione e al traffico di droga che negli anni si è sempre più affermato sul territorio di Latina. Secondo quanto emerso dalle indagini, il clan era riuscito a estendere la propria attività di spaccio anche nei comuni limitrofi, come Pontinia, Priverno e Sezze, creando collegamenti con gli spacciatori del posto. L'indagine, chiamata ‘Scarface’, è stata condotta con il supporto di intercettazioni telefoniche, ambientali e riprese video. Importanti ai fini dell’indagine anche il contributo di alcuni collaboratori di giustizia e le dichiarazioni rese dalle vittime delle estorsioni.
Tra i collaboratori di giustizia c'è Renato Pugliese che aveva raccontato: “A casa Romolo sta seduto su una sedia tipo Scarface”. Dando così lo spunto per il nome da dare all’inchiesta. Come riportato dal Corriere una delle vittime, Cristina Ruggero, ha spiegato agli investigatori:“Ovviamente ho capito subito che stavo subendo un'usura, ma non sono stata in grado di ribellarmi proprio per la loro fama criminale”.
Le vittime del clan
Tra coloro che hanno subito il peso criminale del clan c'è anche Andrea Fiaschetti, il titolare della frutteria ‘Il giardino dei getsemani’ dove Anna Di Silvio, grazie al proprio cognome, andava a fare la spesa gratuitamente. L’uomo avrebbe raccontato: “Io e mio fratello abbiamo paura dei soggetti che gravitano intorno a lei e temiamo, in caso di rifiuto, delle ritorsioni e dei danneggiamenti”.
Un’altra vittima del clan è stata Emanuele Cacciotti, che si era sentito dire da Ferdinando Di Silvio, detto 'Il bello', ucciso nel 2003: “Se tu fai una denuncia, compa' sei finito poi...”.
Francesco Morelli, un piccolo imprenditore del settore delle calzature, ha ammesso che “i Di Silvio di Latina sono noti a tutti per il loro spessore criminale, ovvero persone pericolose e poco raccomandabili, preferisco accontentarli subito con questi sconti abbondanti che dover poi subire le loro pressanti richieste oppure subire eventuali loro ritorsioni”. Oltre a Pugliese, gli altri collaboratori di giustizia furono Maurizio Zuppardo, Emilio Pietrobono e Riccardo Agostino.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
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