Il centenario pucciniano del Teatro alla Scala partorisce il benvenuto ritorno della commedia lirica, La rondine. Partitura non troppo fortunata ma estremamente raffinata (lo insegnano due edizioni discografiche dirette con esemplare e brillante stile dialogico pucciniano da Francesco Molinari Pradelli e Antonio Pappano) con la quale Puccini strizzava l'occhio da par suo al mondo dell'operetta, in cui era tanto ammirato. Lo spettacolo scaligero impostato dalla regista Irina Brook presentava una scena semifissa, circense-felliniana, sulla quale la vicenda dell'amore della mantenuta Magda per l'aitante Ruggero risultava avulsa, confusa fra coriste uscite da un set inglese sulle casalinghe del dopoguerra e un persiflaggio in esperanto del quartetto vocale principale, spesso al limite del non udibile - anche per la concertazione di Riccardo Chailly che, distratta dal mostrare le sciccherie dello strumentale, perdeva il rapporto con calibri vocali leggeri. La maggior personalità era mostrata nei ruoli di contorno, in quelli provenienti dall'Accademia scaligera e nel Rambaldo di Pietro Spagnoli. Mancava smalto e seduzione al Ruggero di Matteo Lippi, volume e squillo alla cameriera Lisette di Rosalia Cid, il poeta Prunier di Giovanni Sala era la parodia di un Guido da Verona queer, poco udito il soave timbro di Mariangela Sicilia (Magda).
Applausi sonori al trascinante concertato del secondo atto, il resto passava via senza lasciare gran traccia, mentre ci si chiedeva chi fosse o cosa rappresentasse la bella mima che in ogni atto si mescola all'azione. Doppio della regista? Ninfa egeria? Angelo della dolce morte? Domande, forse, senza risposta...
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