Palermo - Sembrano non aver influito nel processo Dell’Utri le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, piombate in aula quando il dibattimento si stava avviando a conclusione. La Corte d’Appello di Palermo ha infatti condannato il senatore del Pdl a anni per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1992. I verbali di Spatuzza, depositati nell’ottobre del 2009, si riferiscono invece agli anni successivi. Il 20 novembre del 2009 la Corte d’appello aveva deciso di sentire il collaborante.
Il teorema di Spatuzza Spatuzza in aula sostiene che il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, di cui era il sicario di fiducia, nel gennaio del 1994 gli avrebbe detto: "Abbiamo ottenuto quello che volevamo: abbiamo il Paese in mano. E non sono stavolta quei crastazzi dei socialisti, ma Silvio Berlusconi e il nostro compaesano". In base al racconto del dichiarante le questioni riguardanti la presunta trattativa tra Stato e mafia sarebbero continuate fino al 2003-2004: "In carcere - ha detto Spatuzza - incontrai Filippo Graviano e siccome c’era un’idea di cominciare a collaborare, lui mi disse: 'Se non arriva quella cosa, mandami una cartolina'". Il riferimento sarebbe stato a promesse fatte e non mantenute, ma che poi - visto che i Graviano tuttora non collaborano - si sarebbero avverate.
La stagione delle stragi Le dichiarazioni di Spatuzza gettano una luce sinistra su tutta la vicenda delle stragi: dopo avere colpito a Roma, Firenze e Milano, i boss Giuseppe Graviano, Spatuzza e Cosimo Lo Nigro, tutti di Brancaccio, avrebbero commentato i fatti relativi alla bimba di 40 giorni morta nell’attentato di via dei Georgofili a Firenze, progettando anche un’altra strage, allo stadio Olimpico di Roma, "dove - si legge ancora nei verbali - sarebbero dovuti morire, secondo quanto ci dicemmo all’inizio, 5-10 carabinieri, ma poi si pensò che dovessero morirne almeno 100". L’attentato poi non si fece più, perchè il timer del telecomando non funzionò. A metà gennaio del ’94 Giuseppe Graviano sostenne che non c’era più bisogno di attaccare lo Stato, perchè c’era in campo Berlusconi con il "compaesano", che sarebbe Dell’Utri. "L’attentato contro i carabinieri all’Olimpico - racconta - doveva essere il colpo di grazia. Nel ’93 siamo in guerra contro lo Stato", ma poi, "abbiamo chiuso tutto e ottenuto tutto quello che volevamo".
L'incontro al bar Doney Viene così ricordata la circostanza dell’incontro al bar Doney di via Veneto: "Graviano mi disse chi ci garantisce. Mi vennero fatti i nomi di Berlusconi, quello di Canale 5, e di un compaesano, Dell’Utri che 'ci hanno messo il paese in mano'". Secondo il pentito, Graviano che gli avrebbe parlato della "serietà" delle persone, era "gioioso, come se avesse vinto al superenalotto o ha avuto un figlio".
Le testimonianze dei Graviano Una settimana dopo tocca ai boss di Brancaccio Filippo e Giuseppe Graviano. Il primo in particolare, ha smentito Spatuzza e ha negato di avere mai conosciuto Dell’Utri. È stato il presidente della corte Claudio Dall’Acqua a porre al boss tre domande dirette. Conosce il senatore Dell’Utri? "No" è la secca risposta. Ha mai avuto in precedenza rapporti con lui? "Assolutamente no". Ha avuto contatti anche indiretti con lui? "No". Ma ha anche sostenuto di non aver mai detto una frase giudicata molto importante dall’accusa: "Se non arriva qualcosa da dove deve arrivare sarà bene che anche noi parliamo con i magistrati". Questo commento, ha sostenuto Spatuzza nel suo interrogatorio a Torino il 4 dicembre scorso, sarebbe stato fatto da Filippo Graviano nel 2004, quando il collaboratore lo informò di aver avuto un colloquio nel carcere romano di Rebibbia con l’allora procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna. Molto diversa la ricostruzione dei fatti riferita da Graviano: "Spatuzza andò nel carcere di Rebibbia, credo per una visita medica. Quando tornò mi disse di avere incontrato il dottore Vigna. Io non ho detto mai quelle parole a Spatuzza e non potevo dirle".
Ciancimino, testimone non ammesso Un’altro "grande accusatore" di Dell’Utri è Massimo Ciancimino, che, però non sarà ascoltato nel processo perché considerato per due volte dalla Corte inattendibile e contraddittorio. Ma nel processo Mori, sostiene che è il politico del Pdl "a sostituire il padre nella trattativa tra Stato e Cosa nostra nell’ultima fase", dopo che don Vito, il 19 dicembre del 1992, venne arrestato. E Dell’Utri sarebbe "il nostro amico senatore" citato nei pizzini che Vito Ciancimino si scambiava con Bernardo Provenzano. In uno dei bigliettini si accenna a trattative per ottenere l’amnistia, ed è in questo che si allude al "senatore", al "nuovo presidente" e "all’avvocato" che Ciancimino ha identificato rispettivamente in Dell’Utri, Cuffaro e Mormino. Sarebbero stati questi personaggi a doversi interessare della cosa.
"Mio padre - ha detto Massimo Ciancimino - voleva che l’amnistia, cui aspiravano i mafiosi, fosse adottata da un governo di sinistra e non di destra", in modo che non fosse oggetto di polemiche. A questo fine "c’era un contatto diretto tra il senatore e Provenzano".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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