nostro inviato a Torino
Sembrava di esserne appena usciti, sette mesi fa, edizione numero XXXIII, postdatata causa pandemia, era ottobre, e rieccoci qua, siamo a maggio, il mese tradizionale del Salone del Libro, ed è già la numero XXXIV... Il Lingotto è come una porta girevole, entri ed esci, senza neanche accorgertene. Vorremmo non chiudesse mai.
Intanto, si riapre: stamattina - cioè ieri per chi legge ancora i quotidiani, che sono persino meno dei già pochi che leggono i libri - inaugurazione molto understatement, in puro stile torinese. «È l'edizione più grande e più bella di sempre» ha detto il direttore Nicola Lagioia di fronte alle autorità civili, religiose, militari e intellettuali del Paese. Si segnalano: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, del quale viene letto messaggio di rito; due ministri, Dario Franceschini per la Cultura e Patrizio Bianchi per l'Istruzione (discorsi molto istituzionali, niente di notevole); il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, sinistra, e il Governatore del Piemonte Alberto Cirio, destra, che lavorano sempre più in sinergia, indistinguibili nei programmi e nei valori (Cirio ha stappato champagne quando hanno eletto Lo Russo: il segreto per lavorare bene è che destra-sinistra si dividano nello stesso mandato Comune e Regione); e infine Nicola Lagioia, grande maître à penser di cerimonie, al suo penultimo anno di direzione.
Dall'anno prossimo sarà affiancato da una spalla, ancora da nominare (Loredana Lipperini, sotto la tutela di Marino Sinibaldi), alla quale lascerà poi nel 2024 la direzione assoluta. Lagioia è stato bravissimo nel suo mandato, pur essendosele attirate tutte: ha fatto dimenticare i guai finanziari-gestionali e lo scandalo degli ingressi gonfiati del passato, ha vinto la guerra dei Saloni contro Milano, ha tenuto in piedi due edizioni, una in streaming e una azzoppata, durante l'emergenza Covid, e ora festeggia con un Salone 2022 della ritrovata normalità e ricco di 1.400 incontri, 893 editori e 542 stand... Lagioia ha resistito a polemiche, rivalità, lotte intestine, virus, guerre. Per poi cadere sulla più banale delle accuse, quella di molestie sessuali (verbali).
Qualche giorno fa - e non si capisce davvero perché rivangare una storia vecchia 17 anni - Striscia la Notizia ha tirato fuori una frase del 2005 dello scrittore, all'epoca non ancora Premio Strega né direttore del Salone, rivolta a Melissa Panarello, allora semplicemente Melissa P., la quale aveva riscritto a suo modo Lolita in Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire: «Con lei c'è una sola cosa da fare. La prendi. La metti a novanta appoggiata a un tavolo. Poi prendi Lolita di Nabokov. Strappi le pagine. Gliele infili una per una nel culo. Dopo un po', per osmosi, qualcosa assimila per forza», disse Lagioia. Che a suo modo era anche una stroncatura divertente. Ma si sa... la nuova micidiale onda moralista del combinato disposto #MeToo, neofemminismo e cancel culture non dimentica. Nessuno è immune da colpe, un cadavere prima o poi si trova nell'armadio di chiunque, basta cercalo, e nessuno è davvero puro. O comunque: c'è sempre qualcuno più puro di te. E così, nemesi di una edizione strapiena di incontri sull'inclusione, parità di genere, asterischi, schwa e rispetto reciproco, e inaugurata da discorsi tutti aperti da «Amiche e amici...», e tutti chiusi da «Buon salone a tutte e a tutti» - là dove abbondano i femminismi, i maschili sovraestesi sono banditi - ieri mattina, fuori dai cancelli del Lingotto, un piccolo gruppo di iperfemministe ha distribuito ai visitatori un simpatico volantino con la frase incriminata, firmata «Il direttore del Salone del Libro, Nicola Lagioia». Morale: se tiri giù una statua di uno schiavista di quattrocento anni fa, poi non ti lamentare se qualcuno ti boicotta per una battuta del 2005... E cosa dicono ora le Murgie-Tagliaferri-Valerio-Selvaggia Lucarelli?
Cuori selvaggi - titolo del Salone di quest'anno - e pubblico ipereducato, il Lingotto, per il resto, è quello di sempre. Soliti visitatori entusiasti, oggi sono tornate addirittura le scolaresche che ci mancavano così tanto!, le solite parole d'ordine («Fluido è bello!»), i soliti slogan: «Leggere rende liberi», solita festa e soliti festival. Librai, bibliotecari, editori, scrittori, visitatori, critici, carta, ebook, audiolibri, TikTok, «Avanti, chi è?». Vorremmo che non finisse mai.
L'inizio è promettente. Stretta fra l'Eurovision e la finale di Champions League (femminile e femminista), Torino attraversa un momento spumeggiante, e il Salone ne guadagna. La cultura per una volta è protagonista, la quantità non si discute, la varietà neppure, la qualità è quella, tante parole, ancora più idee, niente mascherine Ffp2, tanto LGBTQ+, il Salone è una gioia, e un po' anche una Lipperini. Saranno cinque giorni fantastici. La parola d'ordine, lanciata dal direttore poco prima della lectio inaugurale di Amitav Ghosh, è «Molteplicità». Il Salone - forte della lezione datagli da Christian Raimo che tre anni fa stilò la delirante lista di proscrizione contro l'editore Altaforte, reo di aver pubblicato un libro su Matteo Salvini - deve essere polifonico, accogliere tutte le voci e i punti di vista.
E cosa minaccia la molteplicità? «Mettere a tacere qualcuno!». A volte - scorrendo l'elenco dei soliti nomi noti presenti, e quello dei soliti nomi noti che mancano - basta non invitarli. Buon Salone a tutti. Massì. E anche a tutte.
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