Le "mille parole perfette" con cui Roth diventò Roth

Esce la biografia autorizzata di Blake Bailey, che ritrae lo scrittore oltre gli stereotipi (e i torti)

Le "mille parole perfette" con cui Roth diventò Roth

In anteprima italiana e quasi mondiale - soltanto il Times e il New York Times a oggi l'hanno recensita - abbiamo letto in esclusiva tutte le 912 pagine dell'attesissima prima biografia autorizzata di Philip Roth scritta da Blake Bailey: Philip Roth: The Biography (W. W. Norton & Company, pagg. 912, dollari 40 e il prossimo anno da Einaudi che pubblica tutti i libri di Roth in Italia).

Un vero evento editoriale - uscirà nelle librerie americane il 6 aprile prossimo - che soltanto i due grandi quotidiani hanno avuto la concessione di anticipare. Per tutti gli altri soltanto qualche dichiarazione riportata da vecchie interviste con l'autore o la quarta di copertina.

Prima di addentrarci tra le pagine di questo che è considerato un vero evento editoriale, una spiegazione è d'obbligo al lettore: abbiamo potuto leggere il libro perché, soprattutto negli Stati Uniti, quelle che in Italia si chiamano copie staffetta, le anticipazioni del libro mandate ai giornalisti, hanno un mercato molto florido e spesso si trovano giorni prima in vendita e con l'acquisto del libro il venditore ti consente di leggere anche il formato digitale per sei giorni.

Bene: non è una semplice biografia, ma un libro che si divora, un libro che fa luce su un Philip Roth molto diverso dall'aria austera e dalla severità, pur ironica, dei suoi romanzi. Roth ha scelto di raccontarsi, prima di morire, a Blake Bailey, già autore di biografie riuscitissime su William Styron, John Cheever e Richard Yates.

Proprio per il rigore dei precedenti lavori Roth ha concesso a Bailey la sua più ampia disponibilità a collaborare, il permesso di intervistare i suoi amici e di accedere alle sue carte private, compresa una confutazione di 295 pagine a un libro di memorie poco lusinghiero scritto dall'ex moglie Claire Bloom, che altrimenti sarebbe stata distrutta o sigillata fino al 2050.

Blake Bailey si è proposto di raccontare un Roth sino a oggi descritto come affetto da «odio per se stesso, per il mondo e misogino», ma in realtà «perennemente frainteso» perché «la gente lo vede come uno scrittore autobiografico, ma non lo è».

Nella vignetta di apertura di Bailey, Roth partecipa all'installazione di una targa commemorativa nella sua casa d'infanzia nel New Jersey, solo pochi giorni dopo il più recente smacco della Svezia. «Oggi», riflette, «Newark è la mia Stoccolma». È una scena costruita con cura e solo più tardi capiamo che Roth stesso ha scritto la targa, in uno dei «numerosi tentativi di controllare la sua eredità fino all'ultima parola». Bailey non vuole scrivere un'agiografia, ma rivendicare «il nome di un uomo che ha subito molti torti e che vuole solo mettere le cose in chiaro».

Nel racconto di Bailey, la vita di Roth è la storia di un grande talento, sempre «minacciato» dai desideri e dalle richieste degli altri. Nato a Newark nel 1933, Roth era «il privilegiato, il coccolato» secondo figlio di una famiglia ebrea di classe medio-bassa. Suo padre, Herman, era un broker assicurativo; sua madre, Bess, una casalinga esigente. Non era una famiglia letteraria. Herman, come il padre di Brenda Patimkin in Goodbye, Columbus, ha lottato con le convenzioni dell'inglese scritto: aveva solo terza media. Roth ricorda «solo una manciata di libri in casa durante la sua adolescenza».

Roth giurò a se stesso che quando sarebbe riuscito a diventare uno scrittore avrebbe «vissuto fino in fondo, e reso questi anni stravaganti come l'inferno».

Stava scoprendo un elemento di «estasi nella scrittura» e iniziò a scrivere «mille parole perfette al giorno».

Secondo Bailey, Roth era «in parte conformista, in parte ribelle e in parte un monaco devoto alla sua arte»: «Cechov diceva che doveva spremere il servo della gleba da se stesso goccia a goccia, e da parte sua Philip diceva che doveva spremere il bel ragazzo ebreo da se stesso goccia a goccia, ma non ci riuscì mai del tutto; rimase sia un bravo ragazzo ebreo che qualcosa di molto diverso da un bravo ragazzo ebreo fino alla fine».

All'inizio l'unica preoccupazione di Roth fu un consiglio: «Non cercare di riabilitarmi; rendimi semplicemente interessante».

Con l'indipendenza concessa, Blake Bailey ha trascorso anni a leggere l'archivio personale di Roth riuscendo a coinvolgerlo in conversazioni straordinariamente sincere. Il risultato è un ritratto indelebile di un maestro americano e della scena letteraria del dopoguerra e dei suoi protagonisti. Eppure per Roth i suoi romanzi non furono mai accolti abbastanza calorosamente per i suoi gusti. Di libro in libro, Bailey esprime la delusione di Roth nei confronti di recensori e giurie incomprensibili. «Dov'è quel National Book Award? E quel Pulitzer?».

Durante tutta la sua vita aveva l'abitudine di esortare se stesso a raggiungere la grandezza. «NON GIUDICARLO. NON CERCARE DI CAPIRLO. NON CENSURARLO», si consigliava in un promemoria a caratteri cubitali. La sua scrivania in seguito portava note a se stesso che recitavano «Stay Put» («Rimani fermo») e «No optional striving» («Nessuno sforzo più del necessario»).

In Bailey, Roth ha trovato un biografo che è eccezionalmente in sintonia con le sue rimostranze e raramente sfida quella che chiama la sua «contabilità morale».

Il Philip Roth di Blake Bailey arriva sbattendo contro di noi come un proiettile pesante e piumato da oltre l'orlo del tempo. Roth è morto solo da tre anni, ma già il suo mondo di scrittore fatto di grandi anticipi, grandi divorzi, grandi controversie e grandi case nel Connecticut sembra lontanissimo. Si possono amare o detestare i suoi romanzi, ma questa biografia è sincera, diretta, amara, il ritratto di uno scrittore che vuole essere riconosciuto prima come essere umano e non come il protagonista dei suoi libri.

Un uomo che riflette molto sulla propria infanzia, con pagine memorabili su quando ha iniziato a scrivere, i dinieghi delle riviste, il tentare di pubblicare sotto pseudonimo, il tentativo perenne di essere in bilico tra l'invisibilità di un Salinger e di un Pynchon e l'interventismo, tra l'anonimato e il compiacimento di essere stato quello che avrebbe voluto vedere suo padre.

In sintesi: un romantico che cerca di dimenticare la nostalgia di vivere attraverso una maschera di cinismo che tra queste pagine ha finalmente deciso di calare.

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