Da Scherzingen, in Svizzera, dove è nato nel 1963, passando per Parigi e New York, Peter Stamm è diventato uno degli autori di lingua tedesca più importanti degli ultimi anni. Noto per il romanzo Agnes (Neri Pozza), ha vinto il Premio Hölderlin, è stato finalista al Booker International nel 2013 e al Deutscher Buchpreis nel 2016 per Andarsene, che arriva ora in Italia per le Edizioni Casagrande (pagg. 144, euro 18; traduzione di Riccardo Cravero). Al centro del romanzo c'è la misteriosa scomparsa di Thomas: all'improvviso, l'uomo se ne va di casa, lasciando la moglie Astrid e i due figli e una vita di amore e felicità. Stamm ne parlerà a Chiasso Letteraria, domenica 15 maggio (ore 15,20).
Come nasce l'idea del romanzo?
«Nel 2013 ho trascorso due settimane in Toscana, in un ritiro per scrittori. Lì ho incontrato Michael Cunningham, che mi ha consigliato di leggere Wakefield, una storia breve di Nathaniel Hawthorne: è lunga solo cinque pagine, ma è così enigmatica che mi ha lasciato la voglia di iniziare qualcosa a partire da essa. E così è nato Andarsene».
Da che cosa fugge Thomas?
«La mia teoria è che, con la sua fuga, Thomas voglia fermare il tempo. Ogni famiglia sa che a un certo punto si scioglierà, i bambini diventeranno adulti, uno dei partner morirà, o ci si separerà. Invece, scappando, Thomas ferma il tempo e, almeno nella sua testa, nulla può più cambiare».
La sua fuga non sembra nemmeno reale: i protagonisti dicono di sentirsi «in un film».
«Alcuni lettori hanno avanzato l'ipotesi che l'intera storia si svolga solo nella testa di Thomas. In realtà, questa possibilità esiste in tutti i miei libri. Astrid ha la sensazione di essere in un film quando finge che, intorno a sé, tutto vada bene: ed è qualcosa che capisco perché, soprattutto con i figli, si interpreta un ruolo, per proteggerli dalla realtà. Ma la maggior parte di noi non è un bravo attore, e i figli si accorgono in fretta che qualcosa non va, nei loro genitori».
Thomas sparisce, eppure la routine casalinga prosegue, quasi come se nulla fosse accaduto. In qualche modo, le abitudini aiutano ad andare avanti?
«Forse. Anche se esistono dei rituali, in alcune culture, per rendere più semplice continuare a vivere dopo un periodo di lutto. Il dolore di Astrid si placa, ma non il suo amore per Thomas. Questo amore rimane inalterato, anche quando lui non c'è più. Forse è ancora più forte dato che, prima, Astrid dava la sua presenza per scontata. Mio padre è morto 25 anni fa, ma il mio amore per lui non è cambiato».
Thomas s'immerge nella natura e rifiuta un mondo meccanico in cui dobbiamo funzionare?
«Innanzitutto non vuole essere scoperto, perciò va in luoghi disabitati. Ma forse questo ritorno alla natura ha a che fare col tempo. Nel mio racconto Ci siamo incontrati nella foresta si dice: Nella foresta non esisteva il tempo, e poi: Nella foresta ciascuno è solo e, allo stesso tempo, nessuno è solo. I momenti in cui ho percepito la perdita del senso del tempo ero sempre immerso nella natura, in montagna, al mare o nella foresta».
Una delle domande è: quanto conosciamo la persona che amiamo?
«Conoscere qualcuno è un processo senza fine, perché le persone stesse cambiano. Thomas se ne va, quindi per Astrid lui non cambia più, e lei può avvicinarglisi ancora più di prima: in un certo senso è una sicurezza, perché non si può perdere qualcuno due volte».
Nonostante la fuga, sembra che i due si amino davvero.
«Quando è uscito il libro, una amica mi ha detto che, per la prima volta, avevo scritto una storia d'amore. Ed è così, anche se Thomas e Astrid trascorrono insieme solo dieci minuti, nel libro. Anche io credo che sia la storia di un grande amore».
C'è un grande senso di solitudine nel romanzo. Come se ce ne fossimo già andati, mentre siamo ancora qui.
«Questo è un grosso tema. L'essere qui e poi il non esserlo più.
Lo stare insieme e lo stare separati. La solitudine nello stare insieme e la vicinanza nella separazione. E, alla fine, forse si tratta sempre e solo di come giriamo intorno alla morte. Se non morissimo, non scriveremmo romanzi».
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